Omicidio stradale: una legge ingiusta e grave, che rischia di assimilare al criminale chi provoca un incidente per errore

Intervento in Aula nella discussione sull’introduzione del reato di omicidio stradale

Se fossi stato tra i primi ad intervenire in questa discussione generale, avrei avuto un quadro diverso della situazione. Ora, dopo aver ascoltato tanti interventi, anche di colleghi che si sono iscritti all’ultimo minuto, vedo che c’è una fortissima perplessità da parte di tutti i Gruppi, davvero di tutti, su questo provvedimento. Siamo tutti d’accordo – e noi di Forza Italia lo siamo certamente – a voler modificare le leggi in modo da ridurre il più possibile il numero delle persone che muoiono sulla strada. L’introduzione della patente a punti, avvenuta una decina di anni fa con il secondo Governo Berlusconi, portò ad una forte riduzione degli incidenti e dei morti sulle strade. È stata una misura. Altre sono state prese. Non dobbiamo neppure escludere – perché noi legislatori non dobbiamo pensare di essere onnipotenti, in quanto sarebbe il più grave errore che potremmo fare – che si tratti anche di una maturazione nell’atteggiamento medio degli Italiani di rapportarsi alla circolazione stradale.

Naturalmente, sulle cronache non compaiono i 5.000 morti in più che non ci sono stati nell’anno in corso e che dieci anni fa invece c’erano, perché è una non-notizia quella dell’incidente stradale che non avviene – anche se, però, è una realtà. Le cronache sono invece piene di episodi gravissimi, che sicuramente causano sconcerto, rabbia e volontà di fare qualcosa. La richiesta che ci viene attraverso tanti canali, che per lo più fanno riferimento a delle associazioni, di introdurre il reato di omicidio stradale è sicuramente frutto di quegli episodi che avvengono e che sicuramente dobbiamo fare il possibile per prevenire. Per prevenire gli episodi criminali, però, dobbiamo fare in modo che si puniscano gli atteggiamenti e gli atti criminali, i casi in cui si ravvisi una grave colpa.

In questa, come in altre circostanze, si rischia invece di assimilare chi provoca accidentalmente un incidente al criminale che, magari più di una volta nella sua vita, si mette alla guida in condizioni nelle quali non dovrebbe assolutamente farlo, ubriaco o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, a velocità assurde e pericolose di per sé, tenendo atteggiamenti di grave pericolosità e mettendosi deliberatamente in una situazione di pericolo e finendo per uccidere una persona o per causarle gravi lesioni. Caso ben diverso è quello di chi commette le infrazioni che, leggendo il relativo articolo del codice della strada, sono le stesse, ma con effetti, intenzioni e grado di colpevolezza completamente diversi.

Ho apprezzato molto già in Commissione il tentativo del relatore di dare vita ad un testo che avesse la sua coerenza, ma temo che sia una fatica impossibile. Trasformare quella che dovrebbe essere un’aggravante – e lo hanno detto in tanti nel corso di questa discussione – in una fattispecie rischia, infatti, di essere in sé sbagliato. Come hanno detto molto bene altri prima di me, da ultima la senatrice Lo Moro, ci sono ben altre fattispecie pericolose e pericolosissime che in questo caso non rientrano perché giustamente non possiamo inserirne tantissime: più ne inseriamo, più rischiamo, infatti, di punire atteggiamenti pericolosi – che certamente devono essere repressi – ma con pene da otto a dodici anni o da sette a dieci anni di carcere, che appaiono francamente eccessive. Facendo una scelta, rischiamo però di ottenere un risultato veramente paradossale.

C’è poi anche un altro problema: l’aumento delle pene può aumentare la paura, favorire l’aumento dell’importo delle assicurazioni, nonché un atteggiamento sbagliato nel mettersi alla guida, ma difficilmente può prevenire quegli episodi che poi, quando vengono riportati, suscitano la rabbia collettiva. Non possiamo pensare di reprimere – ad esempio – un episodio come quello recente del diciassettenne che si è messo alla guida e ha ucciso una persona con la sospensione della patente, quando quel ragazzo evidentemente la patente non aveva.

Prendiamo il caso dei cinque suicidi, citati dal senatore Giovanardi, commessi da persone che hanno causato, evidentemente in modo del tutto indipendente dalla loro volontà, magari per imprudenza, la morte di una persona: possiamo pensare di spaventare queste persone, che si sono inflitte da sole la morte, aumentando di qualche anno le pene previste?

Spesso si dice che bisogna dare un segnale ma io, abbastanza spesso, dico che il segnale che dobbiamo dare come legislatori è di fare bene il nostro mestiere e non di dare segnali purché sia. Quando andiamo dal medico, chiediamo che ci dia non dei segnali ma la giusta diagnosi e la giusta terapia. Non chiediamo certo che ci dia un segnale indossando un camice particolarmente sgargiante o prescrivendoci degli esami medici particolarmente spettacolari, ma chiediamo che ci prescriva gli esami e la terapia che servono.

C’è poi il problema, citato dal collega del Movimento 5 Stelle, del concorso di colpa. Leggendo il testo, siamo portati a pensare che la fattispecie del concorso di colpa vada bene: uno ha il 90 per cento della colpa, ma poi l’incidente avviene anche perché l’altra persona ha una parte di colpa. E invece no. Secondo come è scritto, è punito anche chi ha il 10 per cento di colpa. Quanti sono capaci, nei pochi secondi che il traffico consente, di capire quei segnali di divieto di transito o di accesso, a volte fatti di decine di righe di testo, presenti all’ingresso delle zone a traffico limitato, e nei quali sono anche riportate le indicazioni a seconda che l’auto rientri nella categoria Euro 0, Euro 2 o Euro 3, che sia domenica o festivo, che sia la ricorrenza del santo patrono o via dicendo? Si tratta di 20, 30 righe di testo. Nei centri urbani succedono queste cose. Abbiamo dei paradossi, perché una persona accede in zone di questo genere, magari in contromano, e poi arriva uno che, in moto o in auto, va a 150 chilometri orari e si ammazza (se si va a quella velocità e ci si scontra, ci si ammazza). La colpa è di colui che, poveretto, ha fatto capolino in una strada contromano. Richiamo anche il caso citato dal senatore Giovanardi: mi riferisco a chi imbocca per sbaglio, ad esempio con la nebbia, una strada contromano, ed è soggetto a pene da sette a dieci anni di carcere.

C’è poi un problema ulteriore. Qui – per esempio – puniamo chi va contromano ma non chi entra in una zona pedonale. Pertanto, chi va in una zona dove il traffico è vietato non è colpito, mentre è colpito chi lo fa con un natante. È infatti prevista la fattispecie di chi, con un natante, va in una zona dove è proibito circolare con un mezzo a motore per acqua. La stessa cosa, fatta in un’isola pedonale, come ad esempio, piazza del Pantheon, non è punita. Sono davvero delle bizzarrie. Noi rischiamo, tra l’altro, che, nel momento in cui si arriva all’applicazione della normativa, ci sia una pronuncia per irragionevolezza da parte della Corte costituzionale.

Aggiungo un altro problema. Non abbiamo considerato il fatto che le lesioni o la morte possono essere causate anche ad una persona che si trova nel nostro stesso veicolo. Se non sbaglio, nel leggere il testo, le lesioni guaribili in più di venti giorni danno luogo ad un’azione d’ufficio e non a querela di parte. Può, quindi, succedere che la persona che è con noi in auto (che si presume sia un nostro congiunto, una persona a noi vicina) probabilmente, considerate le circostanze, non vorrà presentare denuncia. Tuttavia, se si procura un danno (ad esempio, si rompe un braccio e, trattandosi di una frattura, la prognosi sarà probabilmente superiore ai venti giorni), c’è il rischio di anni di carcere magari a danno del marito, del padre o del figlio. Rischiamo veramente di fare qualcosa di dannoso.

Al di là del fatto di votare domani e di dare segnali, e alla luce proprio del dibattito svolto, credo che, se la discussione generale serve a qualcosa (direi che oggi è davvero servita), dobbiamo prendere qualche provvedimento utile dal punto di vista della dinamica e dell’andamento dei lavori, così da elaborare qualcosa di diverso. Alla luce della discussione svolta, del lavoro compiuto in Commissione e degli interventi fatti, potremmo adottare – sì – un provvedimento che venga incontro a tutto quello che in pratica gli interventi hanno detto. Credo non sia davvero la strada giusta approvare una legge dicendo – io ho sentito fare questi commenti, anche da parte di chi non ha parlato – che è terribile e ha degli aspetti veramente paradossali, ma deve essere votata. In questo modo rischiamo che qualcuno dica che il Parlamento è inerte e altro ancora. Ma rischiamo molto di più se adottiamo una legge ingiusta e grave, che potrebbe accrescere ulteriormente la sfiducia della gente nella legge, nello Stato e anche nel Parlamento.

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