Minori fuori famiglia: assistenza multidisciplinare, Sistema informativo nazionale e investimenti sempre più urgenti

Interrogazione ai Ministri del Lavoro e delle Politiche sociali, della Giustizia, dell’Interno e della Salute

Premesso che:

il minore ha il diritto inviolabile di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, riconosciuto dagli articoli 2, 3, 29 e 30 della Costituzione, nonché dall’art. 8 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176;

la legge n. 184 del 4 maggio 1983, recante la disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, così come modificata dalla legge n. 149 sul diritto del minore ad una famiglia del 28 marzo 2001, all’articolo 1, primo comma, recita: “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propri famiglia”, specificando al comma 2 che[l]e condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”;

il terzo comma del medesimo articolo stabilisce altresì che “[l]o Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia”; gli stessi Enti hanno altresì l’obbligo, per legge, di organizzare corsi di preparazione e aggiornamento degli operatori sociali per svolgere tali funzioni;

sempre prefiggendosi il medesimo obiettivo il legislatore nazionale, con la legge 183/84, ha stabilito tempi massimi di permanenza del minore al di fuori del contesto familiare originario (non più di ventiquattro mesi prorogabili solo quando la sospensione della misura sia pregiudizievole per il minore) sancendo l’obbligatorietà per gli operatori sociali di delineare un progetto condiviso con la famiglia e funzionale al rientro tempestivo del minore allontanato; in particolare la legge prevede che “[n]el provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore”;

in una Risoluzione del 2009 (Linee guida relative all’accoglienza etero familiare dei minori, adottate dall’Assemblea generale del 18 dicembre 2009 con risoluzione A/RES/64/142, pubblicata il 24 febbraio 2010), le Nazioni Unite impegnano gli Stati con ogni mezzo (finanziario, psicologico e organizzativo) a preservare il rapporto del minore con la sua famiglia di origine e ad impedire che il bambino ne debba uscire e, in tal caso, ad agevolarne il rientro dettando criteri ben precisi sull’ affidamento temporaneo, quali: che il minore sia tenuto in luoghi vicini alla sua residenza abituale; che si ponga attenzione a che il minore non sia oggetto di abuso o sfruttamento; che l’allontanamento si prospetti temporaneo e si cerchi di preparare il rientro in famiglia al più presto possibile; che il dato della povertà familiare non sia da solo sufficiente a giustificare l’allontanamento del minore; che i motivi d’ordine religioso, politico ed economico non siano mai causa principale dell’invio di un minore fuori famiglia; che sia preferita, ove possibile, l’assegnazione ad un ambiente familiare rispetto all’istituto (soprattutto sotto i sei anni di età); in tutti i casi, comunque, si richiede il coinvolgimento del minore nelle decisioni che lo riguardano;

in tale contesto legislativo è opinione condivisa, quindi, che l’allontanamento del minore dalla propria famiglia debba essere un intervento residuale ed estremo, successivo ad ogni tentativo operato dalle istituzioni pubbliche al fine di evitarlo; in particolare la Corte Europea dei diritti dell’uomo, si è più volte espressa, evidenziando che lo Stato deve dare prova, allo scopo di non subire sanzioni, di aver messo in atto “un arsenale” a tutela di tale diritto;

l’allontanamento del minore dalla famiglia e la sua conseguente istituzionalizzazione rappresenta un vero e proprio trauma per il bambino a causa della deprivazione familiare e non va neppure trascurato il grave turbamento e il discredito sociale cui è soggetto il genitore cui vengono sottratti i figli, non di rado senza che ve ne siano i presupposti;

considerato che:

come si legge nell’ 8° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’ infanzia della adolescenza in Italia (CRC) “continuano ad essere carenti i dati relativi alle cause dell’allontanamento e alle motivazioni della scelta di accoglienza (perché comunità o perché affido), ai tempi di permanenza in comunità e in affido, alle motivazioni che determinano la durata temporale dell’accoglienza e alla tipologia della struttura di accoglienza, impedendo di poter valutare con obiettività l’esistenza di progetti gestiti in suo favore”;

si dispone infatti solo di stime pubblicate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali nel 2012 e successivamente aggiornate al 2014, sulla base di un’indagine di natura campionaria condotta in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze; confrontando alcuni dati contenuti nell’indagine con fatti rilevabili nelle diverse realtà territoriali, emerge l’estrema approssimazione dei dati stessi perché costruiti utilizzando parametri, indicatori e tipologie disomogenee, rendendo complessa e a volte impossibile un’analisi comparata e complementare;

stante l’urgenza di garantire la strutturazione compiuta di una Banca Dati Nazionale, essa sembra essere legata alla progressiva operatività del cosiddetto S.in.Ba (Sistema informativo nazionale sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie) più volte pubblicizzato dal Governo nelle varie sedi istituzionali, ma non ancora a regime, atto a consentire l’effettività della raccolta dati, con le modalità indicate e nei tempi stabiliti, al fine di rendere omogenee le fonti e i sistemi di rilevazione sull’intero territorio nazionale;

alla futura banca dati informatica si chiede quindi di fornire indicatori tempestivi delle prese in carico operate dai servizi territoriali, in particolare con riferimento alle motivazioni degli allontanamenti dei minori dal nucleo familiare di origine (ad esempio, se sono stati riscontrati abusi in famiglia o inadeguatezza genitoriale, oppure in applicazione dell’art. 403 cc in caso di pericolo di vita del minore con provvedimento giurisdizionale), alla loro durata e al progetto di recupero individuale;

appare inoltre necessario, che tale piattaforma informatica stabilisca l’obbligo di utilizzo della stessa da parte di tutti gli attori interessanti al sistema di affido minorile ( Enti Locali, Comunità, Procure, Servizi Territoriali..) e che, come si legge nel citato rapporto del CRC, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero della Giustizia garantiscano un coordinamento preventivo e specifico tra di essi, al fine di rendere comparabili i loro dati, e che il Ministero della Giustizia specifichi i dettagli delle proprie rilevazioni, in particolare rispetto al dato sugli affidamenti di minori, disposti annualmente in via consensuale e convalidati dal Giudice Tutelare, distinguendo l’accoglienza in comunità dagli affidamenti familiari;

alla necessità della rilevazione dei dati numerici e degli indicatori tempestivi delle prese in carico operate dai servizi territoriali, si aggiunge quella di un censimento degli istituti attraverso una mappatura delle diverse tipologie di strutture di accoglienza al fine di seguire tempestivamente l’evoluzione del fenomeno, sul quale incidono fattori in costante crescita come il rilevante afflusso di minori stranieri non accompagnati e le loro immissione nelle medesime strutture, con inevitabili ricadute negative in termini di inadeguatezza e promiscuità a danno dei piccoli ospiti;

la pratica della durata sine die degli affidamenti eterofamiliari è costante e spesso accompagnata dall’assenza di un progetto teso al sostegno della famiglia per il reinserimento del minore nella stessa o comunque in un contesto familiare stabile;

tenuto conto delle criticità sopra sintetizzate, appare doveroso rendere cogente un sistema di monitoraggio capillare e costante delle strutture abilitate a prendersi cura dei minori fuori famiglia e della attività dalle stesse eseguite secondo criteri di trasparenza e omogeneità;

per sapere:

se e quando entrerà in funzione il sistema informativo di cui sopra per attuare in tempo reale una rilevazione di tutti i minori fuori famiglia, a qualunque titolo, e presenti sul territorio italiano, in grado di raccordare tutti gli enti istituzionalmente preposti alla tutela;

in particolare, se e quali misure si intendano adottare, in caso di allontanamento, per pervenire ad un sistema di qualità per l’accoglienza dei minori fuori famiglia, secondo criteri di vigilanza efficaci e trasparenti, e se si ritiene di mettere a regime l’assistenza multidisciplinare integrata in tutte le fasi della presa in carico del minore;

se si intenda investire in programmi di tutela del minore, in alternativa all’istituzionalizzazione, al fine di proteggere e tutelare la crescita del minore all’interno del suo ambiente familiare, attraverso interventi di assistenza domiciliare funzionali alla prevenzione e al recupero del minore disagiato.

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