Riforma della geografia giudiziaria: gravi disfunzioni negli uffici e costi triplicati per i Cittadini

Un provvedimento affrettato, che ignora si i Comuni accorpanti sia i pareri espressi a larga maggioranza da Senato e Camera

Interrogazione al Ministro della Giustizia
Premesso che:

la riforma della geografia giudiziaria così come attuata dai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e n. 156, recanti rispettivamente disposizioni concernenti la «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» e la «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace», è risultata in molte sue parti affrettata, non ha tenuto conto dei pareri espressi a larga maggioranza da Senato e Camera, e talora è frutto di criteri tutt’altro che oggettivi, con esiti assai poco favorevoli;

con decreto del Ministro della Giustizia 19 settembre 2013, veniva istituito presso lo stesso Ministero un gruppo di lavoro per il monitoraggio dell’attuazione della riforma; il gruppo di lavoro, noto anche come commissione di monitoraggio, in data 4 giugno 2014 ha presentato al Ministro una relazione finale sulla nuova geografia giudiziaria evidenziando le critiche sollevate da diversi enti locali, esponenti di uffici accorpati e avvocati, a fronte di una valutazione, interessatamente positiva da parte dei tribunali accorpanti;

è emersa, tra gli altri elementi, la lievitazione dei costi per le notifiche a mezzo degli ufficiali giudiziari, benché la commissione l’abbia definita “presunta”, salvo precisare che «non è agevole immaginare interventi correttivi, eventualmente anche di tipo tariffario, atti ad eliminare, o quantomeno a ridurre gli effetti del lamentato aumento dei costi»;

nella medesima relazione finale si tratta il problema delle spese per i Comuni accorpanti, del tutto ignorate in sede di approntamento dei decreti legislativi;

appare invece la realtà di gravi disfunzioni negli uffici giudiziari accorpanti e l’aggravamento delle spese per gli utenti derivante dall’aumento delle distanze;

una delle sedi nelle quali si sono registrati maggiori problemi è il tribunale di Asti, nel quale invece, secondo la relazione finale del gruppo di lavoro del Ministero, «la fusione è avvenuta senza particolari problemi e la macchina organizzativa ha funzionato nell’immediatezza a pieno regime, con soddisfazione di molti utenti e avvocati (fra cui anche rappresentanti del Foro albese, che hanno verbalmente espresso la propria contrarietà al ripristino della situazione pregressa)»;

secondo il Tavolo delle autonomie (attivato da 70 Comuni e diverse associazioni di categoria dell’area), prima dell’accorpamento il tribunale di Alba «provvedeva all’emissione del decreto in quattro giorni, mentre il tribunale di Asti impiega oggi, per lo stesso tipo di atto, quattro mesi»; inoltre, delle circa 300 richieste annuali di sfratto che gli uffici Alba e Bra ricevevano, oltre la metà si concludeva con il rilascio dell’immobile, proporzione oggi ridotta al 20 per cento;

i comprensibili disagi di tipo economico e finanziario, oltre che operativo e logistico, si traducono sostanzialmente in un raddoppiamento e, in alcuni casi, una triplicazione dei costi da parte dei ricorrenti;

infine, dai dati raccolti si rileva che, in ambito di amministrazione di sostegno, i tempi per evadere le richieste è passato dai 15 giorni del tribunale di Alba ai 5-6 mesi impiegati dal tribunale di Asti;

si tratta di condizioni di disagio che non interessano esclusivamente il caso piemontese, ma sono rinvenibili anche in altri casi nel resto del Paese, come il caso dell’accorpamento dei tribunali di Rossano e Castrovillari, in Calabria, o di Pieve di Cadore e Belluno, o di Terni e Orvieto,

si chiede di sapere:

quale sia la valutazione del Ministro in indirizzo sugli elementi esposti;

quali interventi intenda intraprendere, sia in termini di un approfondimento delle criticità emerse, sia in termini di possibili correzioni ai decreti, che sono stati emanati non tenendo conto dei pareri espressi da entrambe i rami del Parlamento.

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