“Riforma” della RAI: gran parte del potere ricadrà nelle mani di una sola persona che, inevitabilmente, sarà espressione della maggioranza governativa

Intervento in Aula per dichiarazione di voto sulla riforma della RAI

Signor Presidente,

per dichiarare il voto contrario su questo provvedimento basterebbe usare – e in parte le userò – le parole della Corte Costituzionale, questo organo importantissimo nel quale, non a caso, ieri il Partito Democratico, con il suo accordo con il Movimento 5 Stelle, ha fatto in modo che non ci fosse alcun rappresentante del centrodestra.

Ebbene, la Corte Costituzionale ha stabilito negli anni la necessità di garantire l’indipendenza editoriale e istituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo, in particolare dal potere politico, stabilendo, anche sulla scia di quanto deciso dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, l’esclusione di ogni forma di controllo a priori sulla sua attività. La Corte Costituzionale, nelle sue varie sentenze, ha richiesto anche il requisito di un elevato tasso di democraticità rappresentativa, per cui tutti coloro che parlano a vanvera di spartizione e di lottizzazione vanno contro la Corte Costituzionale; infatti, la Corte Costituzionale sa bene che la democrazia rappresentativa risiede nel Parlamento.

Certo, vi risiederà un po’ di meno se passerà la riforma costituzionale, che si unirà a una legge elettorale in cui un singolo Partito, magari con il 25 per cento, potrà avere la gran parte dei parlamentari, con l’aggiunta dei senatori non eletti dal Popolo.

Richiede, inoltre, la Corte Costituzionale – cito testualmente le parole di una sentenza – «L’imparzialità e l’obbiettività dell’informazione possono essere garantite solo dal pluralismo delle fonti e degli orientamenti ideali, culturali e politici, nella difficoltà che le notizie e i contenuti dei programmi siano, in sé e per sé, sempre e comunque obbiettivi. La rappresentanza parlamentare – prosegue la Corte Costituzionale – in cui tendenzialmente si rispecchia il pluralismo esistente nella società, si pone pertanto, permanendo l’attuale regime, come il più idoneo custode delle condizioni indispensabili per mantenere gli amministratori della società concessionaria, nei limiti del possibile, al riparo da pressioni e condizionamenti, che inevitabilmente inciderebbero sulla loro obbiettività e imparzialità».

Sono sentenze della Corte costituzionale che, quando fa comodo, si usano a piene mani e, quando non fa comodo, non le si usano; ad esempio, quando la Corte Costituzionale stabilisce che bisogna restituire una certa somma ai pensionati, se ne dà meno di un quinto e lo si chiama ancora bonus, come a dire che siamo stati buoni. In questo caso, la Corte Costituzionale dice una cosa: pur riconoscendo alla cosiddetta legge Gasparri i requisiti di costituzionalità, ha ammonito di non andare oltre quel livello di presenza diretta dell’Esecutivo nell’organo decisionale dell’azienda pubblica.

Ricordo che l’associazione “Articolo 21” lanciò un appello, sottoscritto da 50 illustri costituzionalisti – tra i quali, in primo luogo, l’ex presidente della RAI Zaccaria, in seguito anche deputato del Partito Democratico – in cui si sosteneva che la legge Gasparri fosse incostituzionale, cosa che poi la Corte Costituzionale ha negato.

Perché, dunque, la legge Gasparri sarebbe stata incostituzionale, secondo questi Signori, che grosso modo si rifacevano all’area del Partito Democratico (ho citato Roberto Zaccaria come un suo insigne rappresentante)? Perché essa prevede che due membri del consiglio d’amministrazione vengano indicati dal Governo.

Ebbene, di fronte a questi appunti, cosa fa il Governo Renzi, seguito fedelmente dalla sua maggioranza, almeno fino ad ora? Spero che nel voto finale ci sia qualche ravvedimento: non mettiamo limiti alla provvidenza. Il Governo Renzi, anziché prevedere che i membri nominati dal Governo siano due su nove, stabilisce che siano due su sette; ovvero, anziché il 22 per cento, il 29 per cento. La direttrice generale della European broadcasting Union, l’associazione delle televisioni pubbliche europee, in un’audizione svolta non in giro per il mondo ma davanti alla Commissione competente del Senato, ha detto che con questa riforma l’Italia sarebbe – o sarà – di fatto l’unico grande Paese europeo in cui il capo azienda è nominato direttamente dal Governo, sia pure dopo accettazione da parte del consiglio. Questo vuol dire che non ritiene la Bielorussia un grande Paese europeo, perché lì funziona effettivamente così. La Bielorussia non è sicuramente il mio modello di democrazia: forse lo è di qualcuno qui presente.

La Corte Costituzionale dice, quindi, di porre attenzione a limitare il potere del Governo per garantire la libertà e l’indipendenza dell’informazione, ma la risposta del Governo è quella di aumentare la presenza del Governo, a livello numerico, nel consiglio di amministrazione.

Questo, però, è un solo un aspetto da tenere in considerazione, perché, con il direttore che diventa amministratore delegato, gran parte del potere ricadrà nelle mani di una sola persona che, inevitabilmente, sarà espressione della maggioranza governativa che, su sette membri del consiglio d’amministrazione, si ritroverà ad averne due nominati dal Governo – su questo non c’è dubbio alcuno – mentre, dei quattro nominati dal Parlamento, almeno due saranno evidentemente espressione della maggioranza; e già siamo a quattro su sette. Detto questo, il rappresentante dei dipendenti della RAI, innanzitutto per la loro forte sindacalizzazione tendenzialmente di sinistra, probabilmente apparterrà a quell’area politica ma, in ogni caso, sarà lì a rappresentare i dipendenti e quindi dovrà – se lo vorrà – parlare contro il suo datore di lavoro. Non lo vedo particolarmente verosimile come sostenitore dell’indipendenza e di quel pluralismo che, invece, la legge e la Costituzione, il Consiglio europeo e la Corte costituzionale specificamente hanno stabilito essere un requisito fondamentale.

C’è poi qualcos’altro da dire. Si è detto – ed è vero – che ci sarà il parere obbligatorio del consiglio d’amministrazione. La norma recita infatti che l’amministratore delegato «nomina i dirigenti di primo livello, acquisendo per i direttori di rete, di canale e di testata il parere obbligatorio del consiglio di amministrazione, che» solo «nel caso dei direttori di testata è vincolante se è espresso con la maggioranza dei due terzi». Già è assolutamente inverosimile che si riesca ad ottenere una maggioranza dei due terzi in questo consiglio d’amministrazione ma, se anche fosse – e ciò vorrebbe dire che qualcuno nominato dal Governo o espressione della maggioranza di Governo è contrario alla conduzione di questo potentissimo amministratore delegato – e se dunque la maggioranza dei due terzi dovesse sostenere che la nomina di un direttore di rete non va bene perché lede il pluralismo, il direttore generale amministratore delegato può andare avanti con la sua decisione. Si può dire che, nel caso del direttore di testata, il parere è vincolante, ma guardate che si fa molto più propaganda con ciò che non è informazione politica che con ciò che è informazione politica. Diceva Joseph Goebbels, piuttosto esperto di propaganda a cui forse qualcuno si ispira, che la propaganda è tanto più efficace tanto meno sembra parlare di politica. Per cui una comparsata in televisione di qualche esponente politico è molto più efficace in una trasmissione di intrattenimento che in una trasmissione politica. È molto più efficace un conduttore, un artista o un qualche personaggio dello spettacolo che esprime delle vedute politiche, naturalmente senza contraddittorio, data la natura della trasmissione, piuttosto che un’opinione espressa nell’ambito di un telegiornale o di una tribuna elettorale. Ecco perché questo è assolutamente inaccettabile.

Capisco che i Colleghi siano disturbati da un intervento che usa l’intero tempo a disposizione ma, che sia il 17 dicembre o il 6 ottobre, questo non è davvero un provvedimento da presentare – meno che mai con la scusa della fretta di poter andare in vacanza.

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