Riforma costituzionale: visto che si dà tutto questo potere al Governo, sarebbe opportuno che l’Esecutivo fosse indicato direttamente dai Cittadini, nella persona del Capo del Governo

Sarebbe utile avere una persona che sia responsabile davanti al Popolo e investita dal Popolo di determinati poteri

Intervento in Aula nella discussione di disegni di legge di modifica costituzionale

Signor Presidente,

il compito che l’attuale legislatura si è assunta è un ulteriore tentativo di intervenire sulla nostra Carta costituzionale; tentativo che non è certo il primo: ve ne sono stati numerosi, che però non arrivarono a un risultato e neppure all’approvazione parlamentare di una riforma ampia della Costituzione, bensì di parti importanti di essa. Ciò fino al 2005, quando la allora maggioranza, che sosteneva il Governo Berlusconi, arrivò a una modifica della Costituzione che comprendeva la riduzione del numero dei parlamentari, una specializzazione dei ruoli delle due Camere con una velocizzazione del processo legislativo, un rafforzamento – sia pure molto blando – dei poteri del Capo del Governo e una rimodulazione delle competenze delle Regioni rispetto allo Stato dove, accanto ad alcuni elementi in cui si chiariva la piena competenza delle Regioni, ve ne erano diversi altri che rientravano nella competenza dello Stato (faccio un solo esempio: la ricerca scientifica tornava – ritengo davvero appropriatamente – di competenza dello Stato, perché è una cosa che dovrebbe addirittura essere fatta a livello europeo. L’attuale Costituzione, così come modificata nel 2001, invece la riserva alle Regioni). Pertanto, il risultato era già stato raggiunto. Fu bocciato dal referendum popolare tenutosi il 25 giugno 2006, e, da allora, evidentemente, non è stato più possibile arrivare ad un risultato di questo genere.

La scorsa legislatura è stata breve per una maggioranza molto risicata. Nondimeno, si fece un certo lavoro; ma, certo, più che i tempi, mancavano le condizioni politiche per arrivare all’approvazione di una riforma costituzionale.

In questa legislatura ci siamo assunti questo compito e si è arrivati a un testo che oggi viene portato all’attenzione dell’Aula. Questo testo è molto simile a quello approvato nel 2005. Non contiene una rimodulazione delle competenze tra Regioni e Stato (ma forse meglio sarebbe stato che la contenesse), ma contiene una rimodulazione dei poteri di Camera e Senato certamente diversa rispetto al 2005 (specializzandone i ruoli e velocizzando il processo legislativo). Viene portato avanti dalla maggioranza che sostiene l’attuale Governo, evidentemente molto più ampia delle maggioranze che hanno sostenuto altri Governi: non solo quello della scorsa legislatura, naturalmente, ma anche i Governi di centrodestra di due legislature fa. Pertanto, è certamente con legittima soddisfazione che torniamo a manifestare, come Popolo della Libertà, il nostro orientamento favorevole e il nostro sostegno – soprattutto per il lavoro effettuato in Commissione negli incontri che si sono avuti con le altre forze politiche per arrivare a una nuova formulazione della nostra Costituzione.

Naturalmente, il punto più sottolineato di questi tempi è la riduzione del numero dei parlamentari, una riduzione che, come ha detto molto bene prima di me il senatore Boscetto, va motivata e trae i suoi veri motivi dalla esigenza di una maggiore snellezza degli organi costituzionali (perché dalle dimensioni totali di Camera e Senato derivano le dimensioni delle Commissioni) e dalla nuova situazione che si è venuta a creare con un conferimento di poteri notevole alle Regioni rispetto a quanto avveniva nel 1948, quando le Regioni erano sì presenti in Costituzione ma non erano state di fatto costituite e attivate – fatte salve quelle a Statuto speciale. Naturalmente, di questi tempi viene venduto soprattutto l’aspetto fondamentale del risparmio nel ridurre il numero dei parlamentari. E qui vale la pena di cogliere l’occasione per fare chiarezza.

I parlamentari nel loro insieme – tutti i deputati e tutti i senatori, inclusi quelli a vita – hanno un costo di 217 milioni di euro l’anno. Pertanto, è una somma non proprio decisiva nel bilancio dello Stato, che si aggira intorno ai 700 miliardi, cioè una somma migliaia di volte superiore. Perciò, va anche specificato che, nell’insieme, i parlamentari hanno un costo (che è cosa ben diversa dallo stipendio o dal compenso: lo si chiami come si preferisce) che è equivalente, complessivamente, a 30 centesimi al mese per ogni Italiano. Il singolo parlamentare costa a ogni Italiano un centesimo ogni 31 mesi. Pertanto, ben venga anche il risparmio di qualche decina di milioni all’anno, che deriverà dalla riduzione del numero dei parlamentari, ma cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. Il bilancio dello Stato è di circa 700 miliardi e il costo dei parlamentari è di poco più di 200 milioni.

Cerchiamo anche di ricordare, a chi sta cavalcando molto facilmente questa ondata di pessima informazione (se non, addirittura, la campagna di odio che è stata gestita in questi mesi) quale è la situazione negli altri Paesi europei. Con questa riforma, l’Italia sarà al secondo posto nella graduatoria dei Paesi con il più basso numero di parlamentari rispetto alla popolazione. Oggi, con la Costituzione vigente e con il Parlamento in carica, c’è un parlamentare (intendendo deputati e senatori) ogni 60.000 italiani: con la riforma, ce ne sarà uno ogni 78.000 italiani.

Quanto agli altri Paesi europei dell’Unione europea (per rapidità io ho qui dati limitati alla sola area euro), la Spagna ha un parlamentare ogni 75.000 abitanti, i Paesi Bassi hanno un parlamentare ogni 70.000 abitanti, la Francia ha un parlamentare ogni 65.000 abitanti.

Questi tre Paesi – Spagna, Olanda e Francia – erano gli unici, oltre alla Germania, ad avere un rapporto tra elettori ed eletti più basso di quello italiano. Oggi il rapporto italiano è più alto; in altre parole, ci sono meno parlamentari a parità di numero di cittadini. Vorrei fornire i dati degli altri Paesi. Ripeto, l’Italia con questa riforma avrà un parlamentare ogni 78.000 abitanti; il Belgio ne avrà uno ogni 46.000, la Finlandia uno ogni 25.000, la Slovenia uno ogni 15.000, per non parlare di Malta – un Paese molto piccolo ma pur sempre uno Stato indipendente – con un parlamentare ogni 6.000 abitanti. Facciamo un paragone, ad esempio, con la Finlandia: se l’Italia avesse lo stesso rapporto tra eletti ed elettori della Finlandia, dovrebbe avere un Parlamento di 2.200 membri. Pertanto, si può parlare di riduzione dei parlamentari, di Camere con 400, 300, 200 o 100 membri: tutto si può fare. Si può provare a prendere in giro gli Italiani in molti modi – e uno che va molto di moda è questo – ma, per l’appunto, è una presa in giro, non una cosa seria.

Vorrei, ora, parlare di una questione oggetto di forte dibattito in questi giorni, cioè della proposta formulata dal Popolo della Libertà di introdurre in questa legislatura l’elezione diretta del Capo dello Stato, evidentemente con conseguenti riflessi sulle dinamiche esistenti tra il Presidente della Repubblica e il Governo. C’è chi dice che bisogna parlarne con calma, che dobbiamo costituire delle Commissioni, magari fare un referendum; chi dice invece che è troppo tardi, e così via.

La proposta è stata formulata, mi sembra, due settimane fa; oggi è il 13 giugno, e abbiamo sicuramente almeno dieci mesi prima delle prossime elezioni. Vorrei ricordare che, negli altri grandi Paesi, non ci vogliono di solito quattro-­cinque anni per modificare una Costituzione. La Costituzione tedesca vide iniziare i suoi lavori il 10 agosto 1948, in una situazione evidentemente estremamente difficile – con la Germania distrutta dai bombardamenti, divisa per l’occupazione da parte dell’Unione sovietica della Germania Est, a sua volta divisa tra le tre potenze occidentali che la occupavano. Bene, il 10 agosto 1948 iniziarono i lavori (come dire che noi siamo molto in anticipo, essendo a giugno e non ad agosto) e il 12 maggio 1949 fu approvata definitivamente la Legge fondamentale – che non vollero chiamare Costituzione ma Grundgesetz, per sottolineare la provvisorietà di questo ordinamento, in attesa dell’unificazione. Questa arrivò quarant’anni dopo, e ci si trovò così bene con la vecchia Costituzione che non la si cambiò ma si modificò semplicemente il territorio su cui essa veniva applicata. Per cui, se ci sono riusciti i tedeschi a fare una Costituzione dal nulla – perché venivano dal nazismo, in un periodo di ricostruzione, povertà, occupazione di potenze straniere nel Paese – credo che ce la possiamo fare anche noi a fare una modifica, non certo di tutta la Costituzione, ma di alcuni articoli.

Parliamo ora della Costituzione oggi vigente in Francia. L’attuale Costituzione francese vide iniziare i suoi lavori in realtà molto dopo, ma la sua origine va fatta risalire al 1° giugno 1958, quando Charles De Gaulle fu nominato Presidente del Consiglio. Il 4 giugno, tre giorni dopo, nominò un gruppo ristretto per iniziare a studiare le possibilità di elaborare una nuova Carta costituzionale. Il 15 luglio si convocò il comitato consultivo, che il 15 agosto chiuse i suoi lavori. Cioè, più o meno supponendo che l’inizio dell’iter di questa riforma debba farsi risalire a quando Berlusconi e Alfano hanno presentato questa proposta (in realtà ci lavoriamo da mesi, direi da anni), abbiamo una partenza simile a quella della riforma costituzionale francese del 1958, che vide terminare i propri lavori il 15 agosto; dovendo poi per il loro ordinamento svolgere un referendum, lo indissero il 28 settembre. Ebbene, i francesi ce l’hanno fatta in due mesi (ci sono voluti tre mesi e mezzo perché c’era il referendum): forse anche noi siamo capaci di farlo nei mesi molto più numerosi che abbiamo davanti.

Possiamo considerare anche la Costituzione degli Stati Uniti d’America che, con pochissime modificazioni, dura ormai da più di 220 anni e ha accompagnato quella Nazione da quando era un insieme di colonie marginali ribelli alla corona inglese fino a diventare la più grande potenza mondiale, passando da 13 Stati a 50. Una Costituzione che, quindi, ha funzionato bene. La Convenzione per redigere la Costituzione fu convocata all’inizio di maggio del 1787. Ci vollero venti giorni per raggiungere il numero legale perché, all’epoca, i trasporti non erano ancora così agevoli ed era uno Stato giovanissimo con mille carenze. Il 25 maggio iniziarono i lavori e il 17 settembre furono completati: in poco più di tre mesi delinearono un sistema che – dopo 220 anni, ripeto – è ancora funzionante e ha permesso a un Paese di diventare la più grande potenza del mondo.

Pertanto, quando si dice che “ci vuole tempo” è un’affermazione politica rispettabile ma che non si basa su fatti oggettivi. Si dica semplicemente che “non si vuole fare” quella cosa – perché, se non si vuole fare qualcosa, anche cinquant’anni sono pochi; se, invece, la si vuole fare – come hanno fatto i tedeschi, i francesi e gli americani, che hanno elaborato delle costituzioni da zero – ce la possiamo fare anche noi.

La ragione per cui ritengo particolarmente positiva la riforma presidenziale, quindi l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, è la stessa per cui ritengo positiva la riforma, così come elaborata dalla Commissione, che non include l’elemento dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. In sostanza, questa riforma indubbiamente rafforza i poteri del Governo, dando ad esso la possibilità di far passare le leggi che esso ritiene siano necessarie al Paese molto più rapidamente, grazie alla modifica della procedura legislativa. La riforma dà al Governo un potere molto forte – da qualcuno giudicato anche eccessivamente forte – che è quello di chiedere l’approvazione entro una data specifica, cui peraltro non sono posti limiti minimi, di un disegno di legge e, se il Parlamento non ce la fa nei modi ordinari, deve mettere in votazione il testo così com’è, articolo per articolo, senza emendamenti.

Ebbene, è un fatto importante che certamente renderà più veloce il nostro processo legislativo ma, visto che si dà tutto questo potere al Governo, sarebbe opportuno che l’Esecutivo fosse indicato direttamente dai Cittadini nella persona del Capo del Governo; poi qualche correttivo potrà anche essere introdotto. Con gli emendamenti che abbiamo proposto, il Presidente della Repubblica sarebbe il Capo del Governo e il Primo Ministro sarebbe uno dei membri del Governo – certo, con una funzione di coordinamento rispetto agli altri membri.

C’è però una ragione ancora più forte. Si parla molto della dinamica dei poteri del Governo rispetto al Parlamento, come se quest’ultimo fosse l’ostacolo alla realizzazione dei concreti programmi – sempre ben intenzionati ma non sempre oculati – del Governo sui quali si sono espressi con il loro voto i Cittadini (naturalmente mi riferisco al Governo considerato in astratto, quindi quello di oggi, quelli precedenti ma, soprattutto, quelli futuri). In realtà, il Parlamento non è un ostacolo alla realizzazione dei piani del Governo. Basta dire che gran parte della legislazione è costituita da decreti-legge che non impiegano 90, 120, 240 e neppure 60 giorni ad entrare in vigore, bensì le ore intercorrenti tra la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e la mezzanotte seguente, quindi poche ore. È vero che, poi, i decreti-legge, giustamente, li discutiamo e spesso li modifichiamo, ma entrano in vigore subito. Allora non è questo il problema. Come non è un problema l’approvazione dei disegni di legge ordinari, perché sono talmente rari da non incidere sulla legislazione reale. Inoltre, sono soggetti alla possibilità del Governo di apporre la fiducia, così da superare quanto meno in Aula tutti gli emendamenti e arrivare rapidamente all’approvazione.

Semmai, potremmo dire qualcosa sulla rapidità del Governo nell’attuare ciò che nelle leggi è previsto. Quanto ai decreti legislativi, è curioso che il Parlamento abbia 60 giorni per convertire o modificare, o addirittura respingere, un decreto-legge, e il Governo di solito abbia 12, 18 o 24 mesi per emanare i decreti legislativi attuativi delle deleghe di legge. Il bello è che, mentre il Parlamento, almeno di questo secolo, non ha mai mancato di convertire entro 60 giorni un decreto-legge – e quando non l’ha fatto è accaduto perché il Governo aveva deciso di lasciar cadere un certo decreto-legge per una serie di ragionamenti politici o del tutto pratici – succede spesso che il Governo in quei 12, 18 o 24 mesi non ce la faccia a emanare i decreti legislativi; per cui mi viene il dubbio che, più che il Parlamento, a volte sia il Governo – ripeto, il Governo in senso generale – ad avere qualche problema di rapidità.

Il vero problema, secondo me, non è quanto il Governo riesce a incidere sul Parlamento – che è sicuramente una questione importante (ma il Governo ha molti strumenti per risolverla e, a maggior ragione, li avrà con la nuova legge) – ma quanto il Governo riesce a incidere sulla realtà, sul funzionamento, per esempio, della Pubblica Amministrazione. Tutti i Governi hanno sempre sostenuto di volere una Pubblica Amministrazione con meno dipendenti e più efficiente; di sicuro, i dipendenti sono sempre quelli – se non aumentano – e, quanto all’efficienza, non è che i Cittadini facciano salti di gioia, con le dovute distinzioni.

Pertanto, l’importante è avere un Governo che, investito direttamente dai Cittadini, abbia la possibilità – sia politica sia istituzionale (per “politica” intendo dire che abbia la volontà della Nazione con sé) – di fare le cose su cui tutti dicono di essere d’accordo, (come lo snellimento della burocrazia e della Pubblica Amministrazione, il miglioramento del controllo del territorio e così via) e ce l’abbia sul serio con un responsabile, perché in questo Paese occorre avere la cultura della responsabilità. C’è l’abitudine di cercare i colpevoli per le cose che non sono colpa di nessuno, come i terremoti, e di non trovare mai i responsabili per le cose che sono colpa di qualcuno, come certe gravi lacune da parte, per esempio, della Pubblica Amministrazione. Per questo sarebbe utile avere una persona che sia responsabile davanti al Popolo e investita dal Popolo di determinati poteri: a quel punto non avrà più alibi e dovrà fare ciò che i Cittadini vogliono, che è quello che di solito avrà annunciato in campagna elettorale.

Torna in alto