Invece di andare verso la separazione delle carriere e la separazione del Giudiziario dalla Politica, si sospende la separazione delle funzioni dei magistrati

Si rivendica l’indipendenza della Magistratura rispetto a ogni altro potere, ma si dimentica che anche gli altri Poteri, loro sì espressione della volontà popolare, gradirebbero una loro indipendenza. Invece, il Potere legislativo e il Potere esecutivo si stanno piegando ai diktat dell’Ordine giudiziario

Intervento in Aula nella discussione sul disegno di legge di sospensione della riforma dell’Ordinamento giudiziario

Signor Presidente,

il disegno di legge che stiamo esaminando ha come obiettivo principale, nel sospendere la riforma dell’Ordinamento giudiziario approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura, dopo un lungo iter e dopo un rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, la sospensione della norma che finalmente introduceva la separazione delle funzioni dei magistrati. Noi, peraltro, avremmo voluto la separazione delle carriere: questo era nel nostro programma nel 2001.

Siamo sempre invitati a guardare a quel che succede all’estero e nel resto dell’Europa – così impropriamente chiamata – della quale facciamo parte; se ci adeguassimo a quanto accade nella maggior parte degli altri Paesi, dovremmo andare verso la separazione delle carriere. Siamo almeno riusciti ad approvare la separazione delle funzioni dei magistrati, in modo da impedire un’eccessiva contiguità tra coloro che sostengono l’accusa e coloro che devono giudicare se ha ragione l’accusa o la difesa, ovvero se ha ragione l’imputato.

Fino a oggi vi è stata una contiguità tale per cui c’è spesso da dubitare che il giudice si senta veramente terzo e veramente equidistante – in tal caso, il neologismo “equivicino” sarebbe da respingere – tra le parti. La separazione, che spesso viene richiesta e dovrebbe essere nelle cose – secondo un’antica dottrina della forma dello Stato – andrebbe quindi realizzata e dovrebbe sussistere non soltanto tra la Magistratura inquirente e quella giudicante, ma anche tra la stessa Magistratura, l’ordine giudiziario nel suo insieme e gli altri Poteri.

Purtroppo, da quanto abbiamo sentito in questi giorni, mi riferisco in particolare all’intervento del senatore Stracquadanio, tale indipendenza viene vista a senso unico: viene cioè sottolineata da importanti organismi spontanei di magistrati, faccio riferimento all’Associazione Nazionale Magistrati, nei confronti di chiunque altro. Si rivendica, dunque, e giustamente, l’indipendenza della Magistratura rispetto a ogni altro Potere, ma si dimentica che anche gli altri Poteri, in quanto espressione della volontà popolare, gradirebbero di godere di una loro indipendenza.

Purtroppo, di fronte ai diktat che vengono dall’Associazione Nazionale Magistrati o da altre associazioni di magistrati o da singoli magistrati – che però, per il loro nome e, soprattutto, per il loro potere reale, hanno di per sé una certa forza – mi pare che il Potere legislativo si stia piegando all’Ordine giudiziario. A volte, infatti, si parla di “Potere giudiziario” anche se la Costituzione non scrive «Potere giudiziario» da nessuna parte – parlando, invece, di “Ordine giudiziario”: ciò dovrebbe essere ricordato, mentre a volte lo si dimentica.

Qualche giorno fa, c’è stata una sentenza della Cassazione nei confronti dell’onorevole Vittorio Sgarbi nella quale si è stabilito che è reato, e dunque è perseguibile, definire “politica” una sentenza, indipendentemente dal contenuto di essa: questa era la sentenza stessa della Cassazione sull’argomento. Per il fatto di insinuare che in una sentenza vi è un aspetto politico, una volontà politica, si può essere perseguiti sia penalmente sia civilmente. In altre parole, si può essere sia condannati alla reclusione o a sanzione pecuniaria, sia a un risarcimento danni: naturalmente i danni sono morali, mentre il risarcimento è estremamente materiale e può essere costituito da decine, a volte da centinaia, di milioni – ragionando in lire.

Assistiamo perciò a un’indipendenza asimmetrica; ovvero: da una parte abbiamo certe associazioni di magistrati particolarmente attive nell’interessarsi al nostro lavoro di legislatori – e non so quanto attive nell’interessarsi al loro ruolo di magistrati, di giudici, di procuratori o a quello connesso alle altre funzioni previste dall’Ordinamento giudiziario – mentre, dall’altra parte, il Potere legislativo e l’Esecutivo si danno da fare per ottemperare a questi diktat, che vanno addirittura a sollecitare i tempi di approvazione delle norme.

Precedentemente, il senatore Stracquadanio ha citato una precisa indicazione, che sollecitava l’approvazione del presente disegno di legge entro il 28 ottobre. Ho qui con me un comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Magistrati del 3 agosto scorso, in cui l’Associazione stessa si è interessata persino al fatto che, nell’ultima settimana dei nostri lavori prima della pausa estiva, non si sia parlato del disegno di legge sulla sospensione degli effetti dell’Ordinamento giudiziario di cui oggi stiamo discutendo. È stata una scelta giudicata nel comunicato come incomprensibile e che si è risolta in un vero e proprio schiaffo alle ragioni, alle richieste, alle attese della Magistratura. Ci troviamo addirittura di fronte a un parere sulla formulazione del calendario.

Di fatto, si è auto-costituito un Partito composto dai giudici che condividono una certa concezione della Magistratura, e costituito dunque da una parte della Magistratura che è minoritaria nei fatti ma maggioritaria in alcuni organi come l’Associazione Nazionale Magistrati.

Visto che questo Partito – che si è costituito al di fuori della legge e della Costituzione e, dunque, contro la legge e la Costituzione – c’è, tanto vale convocarlo e farlo partecipare alla Conferenza dei Capigruppo, così che possa dettare direttamente, senza interporre altri soggetti, non soltanto il contenuto delle leggi che dobbiamo approvare ma anche i tempi in cui dobbiamo farlo.

Va ricordato che l’Ordine giudiziario non esprime in nessun modo la sovranità popolare, poiché nella Magistratura si entra per concorso mentre in Parlamento si entra per elezione, per scelta del Popolo al quale, in base al primo articolo della Costituzione, appartiene la sovranità.

È curiosa questa gelosia a senso unico della separazione. Ho menzionato la sentenza in cui l’onorevole Sgarbi è stato condannato per aver definito “politica” una sentenza; poi, però, notiamo che alcune associazioni di magistrati, in quanto tali, fanno politica e addirittura entrano nel merito dell’agenda dei lavori parlamentari. Ci sono poi delle prese di posizione più che esplicitamente politiche da parte delle associazioni dei magistrati. Andando a cercare quelli che definirei i recenti diktat, i proclami, le intimazioni dell’Associazione Nazionale Magistrati, nel sito Internet di questa associazione ho trovato giustamente i link alle varie componenti che ne fanno parte. Tra queste primeggia – credo anche per numero di consensi, ma comunque di certo per radicamento – Magistratura Democratica.

Il programma di tale componente, come riportato in questa pubblicazione ufficiale, comprende tuttora una serie di punti programmatici che hanno anche una connotazione abbastanza politica. In essi si parla, in particolare, della protezione dei diritti degli immigrati e dei meno abbienti in una prospettiva di emancipazione sociale dei più deboli, del sostegno all’integrazione comunitaria ed europea – che non sapevo fosse una prerogativa dei magistrati – della difesa dell’indipendenza del potere giudiziario, sia nei confronti di ogni altro Potere che di interessi particolari. Una serie di punti – alcuni, per la verità, curiosamente attinenti alle funzioni dei magistrati – in cui si ribadisce, con insistenza anche condivisibile, l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura sancita nel primo comma dell’articolo 104 della Costituzione.

Ciò che viene sempre dimenticato è l’articolo 101 che, guarda caso, è il primo articolo che riguarda la Magistratura, e riporta che «La giustizia è amministrata in nome del Popolo» (del quale, peraltro, bisognerebbe ricordarsi qualche volta), mentre al secondo comma recita che «I giudici sono soggetti soltanto alla legge». Allora la legge dovrebbe essere applicata. I giudici sono soltanto alla legge e a nessun altro. Non devono essere soggetti ad altri poteri ma solo alla legge, mentre abbiamo assistito troppo spesso a un uso della legge che viene applicata e disapplicata a seconda di ragionamenti politici. Io, allora, mi chiedo: se è reato definire “politica” una sentenza, non dovrebbe anche essere un reato definire “contraria alla giustizia” una legge? Non dovrebbe anche e soprattutto essere reato non applicare questa legge, magari farlo dichiaratamente, come a volte si trova in certi documenti fatti circolare da associazioni dei magistrati?

Lo stesso sito di Magistratura Democratica riporta antichi documenti di questa associazione, nata nel lontano 1964, per poi fare un salto di qualche decennio arrivando a epoche più recenti. Ci sono anche dei documenti interessantissimi risalenti a un periodo intermedio. Il 5 dicembre 1971, l’Assemblea nazionale di Magistratura Democratica approvò una mozione che aveva delle frasi che sono forse un tantino politiche. Ad esempio questa: «…per la determinazione della linea politica della corrente vi è la convergenza su alcune acquisizioni fondamentali che si identificano nel riconoscimento: a) della caratteristica di classe della giustizia» – allora scopriamo che la Giustizia è di classe per un’associazione di magistrati – «b) delle possibilità di fornire un contributo reale all’avanzamento del movimento popolare» (qui bisogna fare un po’ di filologia perché, nel 1971, per “movimento popolare” si intendeva sostanzialmente l’insieme della Sinistra, che andava dal PCI fino alle frange collocate ancora più a sinistra, le quali hanno anche intrapreso attività non più politiche ma di altro tipo) «anche attraverso una nuova politica della giustizia» e, sempre in questa mozione approvata da Magistratura democratica, «c) che i problemi giudiziari non devono essere ridotti a meri problemi tecnici…, ma devono essere portati all’interno di tutto il movimento» (il “movimento popolare” del punto b) per «avviare un processo di riappropriazione popolare dei temi della giustizia». Nella mozione si legge anche che bisogna rendere «funzionale alle esigenze di eguaglianza, partecipazione sociale, economica e politica delle classi lavoratrici» la «teoria e la prassi giudiziaria (…) attraverso l’utilizzazione di tutte le contraddizioni del sistema democratico, non per mediarlo» (il sistema democratico, è scritto) «al fine di una razionalizzazione del sistema, ma per valorizzare gli elementi che possono portare al superamento del sistema stesso».

Questo non è il proclama di qualche folle, di qualche singolo, ma è una mozione approvata da un’associazione che, mi pare, ha oggi il 25 per cento dei consensi nelle elezioni per gli organi della Magistratura e che all’epoca credo avesse un sostegno, forse un po’ inferiore, ma comunque importante. L’Assemblea (non Vittorio Sgarbi, che all’epoca credo non avesse l’età per prendere posizione su questi temi) dichiarò che «per l’attuazione delle linee politiche» (sono loro a dirlo) «l’azione» (sempre della Magistratura) «deve svolgersi sia all’interno che all’esterno dell’ordine giudiziario attraverso (…) la ricerca di collegamenti con tutte le forze politiche, tradizionali e non, della Sinistra». Quanto alle forze tradizionali, ci si riferisce al Partito Comunista e ad altri antichi Partiti, mentre le forze non tradizionali in quegli anni stavano per accingersi ad attività di cui poi la Magistratura ha dovuto interessarsi perché erano un tantino al di fuori della legge.

Il 4 aprile 1973, l’Assemblea nazionale di Magistratura Democratica approvò una risoluzione in cui si indicava la necessità di costruire «un rapporto costante e articolato con le forze politiche e sindacali della Sinistra (…) che consenta di ricercare (…) obiettivi politici (…) in un quadro strategico unitario inteso a battere il disegno reazionario e di ristrutturazione neocapitalista». Devo dire che questo vecchio armamentario vetero-marxista credevo fosse scomparso negli anni Settanta mentre, con questa legislatura, ho imparato che ancora c’è, sentendolo a volte riecheggiare in quest’Aula dai banchi della Sinistra. Si tratta di un’operazione che credevo fosse di archeologia del linguaggio, invece si tratta di archeologia ancora viva. Un documento del 1973 sosteneva la necessità di «un impegno globale di Magistratura Democratica per un crescente allargamento dei consensi all’interno e all’esterno della Magistratura sulle linee sopra indicate»

Nello stesso numero del giornale “Magistratura Democratica”, che riportava doverosamente questo documento ufficiale dell’Associazione, vi è un articolo di Pierluigi Onorato – un magistrato che ha scritto moltissime sentenze nella sua carriera, alcune delle quali riguardanti persone che oggi sono nostri Colleghi in Parlamento. Nel suddetto articolo, Onorato sosteneva «l’esigenza sempre più avvertita all’interno e all’esterno del mondo giudiziario» che «questa frangia di magistrati democratici superi la fase della testimonianza, per innescare un processo politico che investa tutta l’istituzione e assuma un valore per tutto il movimento» – ossia il movimento prima menzionato, che era sostanzialmente l’insieme della Sinistra. E ancora: «Il momento presente impone a tutti una crescita politica, cioè il superamento dello spontaneismo». Basta quindi andare ciascuno per conto proprio, magari facendo sentenza in nome della legge. Pierluigi Onorato fa riferimento inoltre alla «continua preoccupazione delle implicazioni strategiche dei propri comportamenti: in una parola, un approccio politico». Continua il magistrato: una «vera crescita politica doverosa per tutti è invece non riprodurre la separazione tra la sfera sociale e quella istituzionale, che porterebbe ai quadri democratici della Magistratura a recuperare e difendere i valori della professionalità senza uno stretto legame col movimento. Occorre cementare nessi profondi tra movimento democratico» – cioè la Sinistra – «e Magistratura. È necessario approfondire rigorosamente i contenuti dell’azione politica perché siano sempre sorretti da una lucida consapevolezza strategica e verificati sulla base di questa». Successivamente, egli propone delle «mosse per far avanzare il fronte di lotta delle classi lavoratrici verso trincee finora riservate al nemico di classe».

Alla luce di tutto ciò, ritengo che, se esiste qualcosa che possa limitare la possibilità di alcuni magistrati di fare politica con le loro sentenze (e spero che quanto rimane dell’articolo 68 della Costituzione sia sufficiente a proteggere ciò che sto dicendo da azioni di magistrati), se si può fare qualcosa per limitare quest’uso – che considero spudorato ed esplicito – della Magistratura per fare politica, credo che dovremmo davvero fare di tutto perché ciò avvenga. Nella scorsa legislatura l’abbiamo fatto; avremmo voluto fare di più, ma la riforma che oggi si vuole sospendere faceva grandi passi in questa direzione.

Mi domando come si faccia ad affrontare serenamente un processo se si sa che un magistrato, giudice o inquirente (può succedere che sia l’uno, l’altro o anche tutti e due), considera magari non l’imputato, ma qualcuno che potrebbe essere non lontano dall’imputato, un nemico di classe, sostenendo ciò da magistrato e non da militante politico. Magistrati – il collega Stracquadanio in precedenza ne ha citato uno – che hanno una frequenza alle “Feste dell’Unità”, anche in Comuni con 3.000-4.000 abitanti, difficilmente poi hanno molto tempo da riservare all’attività di magistrato, per non parlare della serenità e dell’equanimità necessaria.

Credo che dovremmo andare avanti senza sospendere la separazione delle funzioni e auspicare che vi sia anche una separazione tra l’Ordinamento giudiziario e il Potere politico. I magistrati, quando svolgono la loro attività, si occupino di Giustizia e, possibilmente, non facciano politica. Se poi essi decidono di entrare in politica, si limitino a fare politica senza voler fare i magistrati una volta entrati in politica: questo sarebbe un passo avanti molto importante.

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