Con l’abolizione dei voucher, gravi danni a 1,6 milioni di Italiani e i loro datori di lavoro solo per evitare il referendum. Il Governo rimborsi i Comuni per le (inutili) spese che stanno sostenendo
Intervento in Aula per dichiarazione di voto sul decreto-legge di abolizione dei voucher
Signor Presidente,
il decreto-legge al nostro esame cancella totalmente l’istituto dei voucher dalle possibilità che sono offerte ai datori di lavoro e ai lavoratori del nostro Paese e ciò è particolarmente paradossale, perché lo fa un Governo che ha ampliato l’uso dei voucher.
I voucher nascono con la cosiddetta legge Biagi del 2003, sotto il Governo Berlusconi, ma vengono concretamente attuati con il Governo Berlusconi del 2008 – anno in cui viene resa operativa tale normativa che consente a situazioni particolari, entro determinati limiti, di usare quelli che la legge definisce “buoni-lavoro”, più comunemente conosciuti come voucher. È un’istituzione che viene incontro a una serie di situazioni in cui sarebbe molto complicato ricorrere a qualunque altro strumento di contratto lavorativo, men che meno a un contratto a tempo indeterminato, anche se nel 2008 c’erano parecchie altre forme disponibili.
Poi è arrivato il cosiddetto Jobs Act, che ha ridotto moltissimo queste forme contrattuali, e adesso arriva la cancellazione totale del voucher. E pensare che il Governo Renzi è stato quello che ha dato il via a un esorbitante, esagerato e molto probabilmente disonesto (da parte di molti, si intende, da parte di molti altri invece è stato corretto) uso dei voucher. I numeri sono i seguenti: nel 2011, con il Governo Berlusconi, il numero dei voucher usati durante l’anno è stato di 15 milioni. Poi nel 2012 si è passati a 23 milioni (il Governo Monti già aveva allargato l’ambito di applicazione), nel 2013 a 40 milioni, ma il bello arriva con il Governo Renzi: 69 milioni nel 2014 e un ulteriore aumento nel 2015, fino ai 134 milioni del 2016.
Allora, il caso vorrebbe che l’attuale Maggioranza e l’attuale Governo – che, quantomeno dal punto di vista morale, sono una chiara continuazione del Governo precedente, ossia del Governo Renzi – dicessero chiaramente (ma non l’ho mai sentito dire): «Abbiamo fatto una stupidaggine colossale», «Abbiamo sbagliato», oppure «Si deve dimettere qualcuno» – in particolare, magari chi è stato Ministro del Lavoro, in continuità tra i due Governi. Ora abbiamo scoperto, infatti, che non solo non bisognava arrivare al raddoppio dell’uso dei voucher (si tratta di raddoppio solo dall’inizio del Governo Renzi, perché dal Governo Berlusconi c’è stato un aumento pari a nove volte; il 900 per cento in più fa più colpo ma vuol dire la stessa cosa), ma il Governo Renzi, che ha causato questo raddoppio, scopre che non bisogna usarli per nulla.
Ma come mai si chiede di abolire totalmente i voucher? Qual è la ragione del decreto-legge al nostro esame? I promotori dei referendum, ossia la CGIL, hanno presentato in un documento ufficiale pochi mesi fa – quindi non sotto forma di dichiarazioni passeggere che possono essere fraintese, ma nel corposissimo documento che è la Carta dei diritti universali del lavoro – il loro pensiero, anche con qualche dettaglio di formulazione, sull’uso dei buoni lavoro, ovvero dei voucher. Semplicemente si chiedono determinate limitazioni per evitarne l’eccesso. Ebbene, che cosa fa il Governo? Li abolisce del tutto, perché – come scrive nel preambolo del decreto-legge – vi è l’urgenza di porre fine agli abusi del voucher. Fantastico: il Governo dice chiaramente che ha sbagliato completamente le proprie politiche del lavoro. Questa non è la verità; o, meglio: è verissimo che abbia sbagliato le politiche del lavoro, ma il Governo non è sincero, perché l’unica ragione per abolire i voucher – e anche quella di farlo per decreto-legge – è impedire lo svolgimento del referendum, in cui il Governo (soprattutto il Partito Democratico, più che il Governo in sé) avrebbe rischiato un confronto con una certa Sinistra che si sente particolarmente rappresentata, o comunque vicina, alla posizione della CGIL. Non volendola affrontare per motivi meramente partitici (di interesse di Partito e, forse, proprio di leader di Partito), unicamente per queste ragioni dice: piuttosto che fare quel referendum, aboliamo del tutto il voucher – al quale, in realtà, il Governo è favorevole. È una presa in giro; ma se fossero solo una presa in giro e una figuraccia politica, pazienza: tutto sommato, ciascuno porta la responsabilità dei propri atti. Il problema è che, nei guai, finiscono i datori di lavoro e i lavoratori italiani.
L’anno scorso, 134 milioni di buoni lavoro sono stati utilizzati da 1.600.000 lavoratori. Cosa fanno queste persone dal giorno in cui è entrato in vigore il decreto-legge? Qualcuno è fortunato perché il datore di lavoro li aveva comprati prima e, in questo decreto-legge, c’è scritto che i voucher si possono usare fino alla fine dell’anno. Noi avevamo presentato un emendamento che chiedeva di poterli utilizzare anche dopo la fine dell’anno. Se qualcuno li ha, finisce che poi verranno utilizzati in modo artificioso, perché se ci si trova troppi buoni lavoro in tasca si rischia di doverli utilizzare davvero dove sono impropri e sapendo di farne un uso improprio; però, per non buttarli via – poiché sono soldi – probabilmente li utilizzerà così.
Dalla fine dell’anno, a parte i fortunati datori di lavoro e i loro dipendenti che possono ancora usare quelli acquistati, non possono più impiegarli – con gravi conseguenze in una serie di settori molto ampi (ad esempio l’agricoltura, dove – non c’è bisogno di essere laureati in agronomia per capirlo – la stagionalità è un fatto insito nell’attività stessa) e in una serie di situazioni come i piccoli lavori domestici e le situazioni di lavoro a chiamata nella ristorazione e in altri settori. Questo vuol dire, innanzitutto, un grave danno ai lavoratori e ai loro datori di lavoro, che dovranno ricorrere al nero o, in qualche rarissimo caso, saranno forse in grado di trasformare questo tipo di rapporto di lavoro in un contratto più impegnativo (ma saranno vicini allo zero). L’altra soluzione, come dicevo, sarà il lavoro nero, con tutto quello che ciò comporta. Non credo che un Parlamento e un Governo responsabili dovrebbero incitare – quasi obbligare o istigare – all’uso del nero, anche se la relazione tecnica ci dice che si trasformeranno tutti in contratti di altro tipo; d’altra parte, c’è la menzogna spudorata nelle motivazioni del decreto-legge, e non è strano che ci sia la menzogna anche nella relazione tecnica.
C’è, però, un dato positivo in questo rapidissimo passaggio in Aula: è stato approvato l’ordine del giorno G1.115, che è davvero intelligente. Qual è lo scopo di questo decreto-legge? Impedire il referendum. Il problema è che, a tutt’oggi – e da settimane va avanti così – tutti i Comuni stanno affrontando tutte le spese e le procedure, anche onerose dal punto di vista del tempo che richiede ai pochissimi dipendenti comunali (mi riferisco in particolare ai Comuni piccoli) perché il referendum si indìca; perché ad oggi, ufficialmente, tutta la macchina referendaria funziona come se il referendum si tenesse. I Comuni affrontano delle spese e dunque, giustamente, questo ordine del giorno del senatore Orellana e di altri senatori – ma che è stato votato dalla Maggioranza di questo Senato e anche da alcuni esponenti della Maggioranza – impegna il Governo a rimborsare ai Comuni le spese comunque sostenute per il referendum del 28 maggio qualora i quesiti referendari decadessero, che è proprio lo scopo che si prefigge il Governo. Ricordo che gli impegni presi in Senato sono una cosa seria, dunque mi aspetto che il Governo trovi i soldi; visto che, per accogliere gli immigrati a centinaia di migliaia, li trova (francamente, in questo caso sono assai di meno), mi aspetto che il Governo li trovi anche per rimborsare i Comuni per una spesa del tutto inutile che stanno sostenendo. Sarebbe almeno una cosa positiva in un decreto-legge che è ingiustificato nelle sue premesse, ingiustificato nella sua attuazione e gravemente dannoso della situazione lavorativa di centinaia di migliaia di Italiani.
Per questi motivi, Forza Italia vota convintamente e assolutamente “no”.