Tre domande al Presidente del Consiglio: surplus della Germania, discrepanze dell’Accordo di Parigi e (pretesa) politica europea sull’immigrazione

Intervento in Aula nella discussione sulle Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in vista del Consiglio europeo del 22 e 23 giugno 2017

Signor Presidente, Signor Presidente del Consiglio,

abbiamo apprezzato la pacatezza e l’attinenza al tema delle Sue comunicazioni, cosa a cui non eravamo sempre usi negli ultimi anni. Abbiamo apprezzato, nel contenuto, alcuni aspetti delle Sue comunicazioni – in particolare, l’accenno alla necessità di tenere un atteggiamento pragmatico sulla Brexit, né hardsoft, ma sensato e che difenda gli interessi degli Italiani che si trovano nel Regno Unito e, in generale, i rapporti con il Regno Unito. Il Suo è stato un atteggiamento molto più apprezzabile rispetto a quello di alcuni alti esponenti dell’Unione europea, che hanno auspicato vendetta nei confronti del Regno Unito – cosa poco razionale in generale, tanto più lo nella politica internazionale – per un legittimo atto che i Cittadini del Regno Unito, a maggioranza, hanno deciso di intraprendere. Noi non soltanto apprezziamo, ma sosteniamo l’azione del Governo per portare in Italia alcuni enti che, proprio a causa della Brexit, stanno lasciando il Regno Unito – in particolare, l’Autorità Bancaria Europea e l’Agenzia Europea per i Medicinali. Non soltanto diamo tutto il nostro sostegno in sede parlamentare a tale proposta, ma la Regione Lombardia, dove Forza Italia è parte importante della Giunta, sta sostenendo attivamente, fattivamente e concretamente questo tentativo – che noi riteniamo meriti di avere successo -, portando a Milano queste importanti Agenzie europee. Speriamo anche di avere una certa influenza su di esse. Ricordo quello che fece l’Autorità Bancaria Europea nel 2011, quando cambiò da un giorno all’altro i parametri senza consultare, a quanto pare, nessuno, svantaggiando enormemente le banche italiane e lo Stato italiano senza che ce ne fosse una ragione nell’economia reale. Noi sosteniamo chiunque sieda fra i banchi del Governo quando fa gli interessi del nostro Paese.

Abbiamo apprezzato anche il ricordo di Helmut Kohl. Dopo l’intervento del Presidente del Consiglio, ci sono stati altri che hanno citato questa figura estremamente importante. Senza di lui, l’Europa sarebbe stata diversa e la Storia dell’Europa sarebbe stata diversa. Sono contento del fatto che oggi, a trent’anni dal vertice della carriera politica di Kohl e a pochi giorni dalla sua dipartita, ci sia questo ampio apprezzamento nei suoi confronti. Ricordo che a suo tempo, quando era candidato (a volte vincente e a volte no) del centrodestra tedesco – cioè dei cristianodemocratici tedeschi, contrapposto alla Sinistra dei socialdemocratici – quasi tutti i mezzi di informazione italiani e tanti politici italiani snobbavano Helmut Kohl, che pure aveva fior di docenze universitarie e varie lauree, come una persona intellettualmente inferiore rispetto ai fulgidi luminari che c’erano nella Sinistra. Questo è un vizio che c’è sia in Italia che in Germania: sono sempre dei geni quelli che stanno a Sinistra. Però Helmut Kohl, sia pure trent’anni dopo, vedo che riscuote applausi anche a Sinistra. Purtroppo, molti di coloro che l’hanno applaudito e che l’hanno ricordato negli interventi oggi pomeriggio voteranno e difenderanno con il loro voto un provvedimento che prevede – per chi fosse anche solo sospettato o indiziato di alcuni dei fatti, che poi coinvolsero Kohl a proposito del finanziamento del suo Partito – che basti solo tale indizio per la confisca dei beni, per essere messi in carcere o al confino addirittura prima della condanna e, infine, per essere privati del patrimonio e del sostentamento nella vecchiaia. Questa mattina applaudite Kohl, mentre oggi pomeriggio voterete affinché chi ha fatto ciò che ha fatto Kohl finisca in anni di carcere, gli venga sequestrato il patrimonio e tolto il sostentamento per la vecchiaia. Detto questo, ricordiamo che, quando Kohl ha avuto un ruolo attivo – fin tanto che l’ha avuto – nel determinare la fisionomia dell’Unione europea, ha lavorato perché l’Unione fosse realmente ispirata ai criteri di solidarietà e coesione mentre, proprio negli anni in cui Kohl è stato costretto a lasciare la politica (e inizialmente era stato costretto a lasciare la Cancelleria), è passata un’Europa in cui sono prevalsi rigidi parametri economici. Rigidi – solo alcuni, però. Infatti, un aspetto di cui Lei, Signor Presidente, non ha parlato sono quei famosi parametri – non quelli di cui si parla tutti giorni (deficit e debito), ma quelli di cui bisognerebbe parlare tutti i giorni e nessuno lo fa; mi riferisco al surplus commerciale della Germania, che è contro i trattati tanto quanto sarebbe contro i trattati l’Italia se avesse un deficit superiore al 3 per cento. Del deficit si parla sempre, mentre del surplus commerciale della Germania non si parla mai. È significativo che questo argomento sia stato assente, Presidente, anche nelle sue comunicazioni.

Un altro punto che Lei ha toccato è l’Accordo di Parigi e la sua non negoziabilità. Apprezzo che Lei, Signor Presidente del Consiglio, abbia avuto un atteggiamento più maturo con il Presidente Trump rispetto ad altri. Questo ci ha garantito il grosso vantaggio (non avendo Lei fatto la campagna elettorale negli Stati Uniti né quando era Ministro degli Esteri, né da Presidente del Consiglio, a differenza di altri esponenti del nostro Governo) di poter trattare – come deve fare un Capo di Governo con un Governo straniero, che incontri o meno i nostri gusti – in questo caso, con il Presidente Trump. A proposito degli Accordi di Parigi, credo che l’uscita degli Stati Uniti dovrebbe essere lo spunto se non per rinegoziarli, perlomeno per farsi qualche domanda: come mai, negli accordi di Parigi, la Germania, che ha il 36 per cento di abitanti in più dell’Italia, può avere emissioni del 98 per cento superiori a quelle dell’Italia? Se l’è mai chiesto qualcuno? È stato mai chiesto in sede europea? Come mai? Ci va bene così? Bisogna tener presente che la Germania riesce a tenere basse le emissioni, cioè del 50 per cento superiori a quelle italiane, grazie al fatto che usa ancora massicciamente l’energia nucleare (sia pur con un vago impegno, per un futuro piuttosto lontano, di rinunciarvi) che è virtualmente a emissioni zero. L’Italia non usa l’energia nucleare, eppure è sottoposta a parametri molto, ma molto più rigidi per le emissioni. Come mai? Non era forse l’occasione, l’uscita di un Paese un tantino importante come gli Stati Uniti d’America, per dare un’occhiata a questi meccanismi? È logico che, negli accordi di Parigi, la Cina e l’Indiache già oggi hanno emissioni altissime (la Cina il doppio degli Stati Uniti, e cioè 26 volte l’Italia), possano continuare a farle crescere fino al 2030? Bellissima cosa, l’atto di fede a favore dell’Accordo di Parigi, ma, oltre a professare atti di fede, oltre a farsi applaudire nelle sedi internazionali, chi rappresenta l’Italia dovrebbe difendere gli interessi dell’Italia – esattamente come il celebrato Helmut Kohl difendeva gli interessi della Germania in un’Europa solidale, quella dei suoi tempi.

Un altro punto che mi riservo di toccare, anche nella successiva dichiarazione di voto, riguarda l’immigrazione. Il Presidente del Consiglio ha auspicato una politica migratoria comune europea: ma come si fa a chiedere una politica migratoria comune quando l’Italia vuole fare il primo della classe su una serie di punti? Qualche settimana fa, è stata approvata la legge sui minori – o, meglio, sugli auto-dichiarati minori – stranieri non accompagnati e, in quella occasione, esponenti della Maggioranza e del Partito Democratico hanno vantato che si tratta di una legge all’avanguardia in Europa quando è una legge molto, ma molto più lassista di quelle di qualsiasi altro Paese europeo. E poi diciamo che abbiamo bisogno di una politica europea comune. Andiamo a prendere – unico Paese al mondo e nella Storia – le persone che vogliono venire in Italia a ridosso della costa africana ma, poi, pretendiamo che gli ungheresi si prendano la “loro” quota. Questo non va tanto bene. Per non parlare, poi, della legge chiamata ius soli – che, in realtà, è molto più ampia dello ius soli, anche questo caso pressoché unico in Europa (in Spagna c’è qualcosa che ci si avvicina): si vuol fare i primi della classe, dicendo «venite, più ce n’è meglio è», salvo poi chiedere che 800 persone vengano prese dall’Ungheria e una politica europea comune.

Ci vorrebbe maggiore coerenza”.

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