Regolamento del Senato: La riforma dovrebbe chiarire le regole, non irrigidirle

Meglio avere meno regole e nessuna deroga, piuttosto che più regole e tante deroghe

Intervento in Aula sulla riforma del Regolamento del Senato

Signora Presidente,

la proposta di riforma del Regolamento che giunge in Assemblea è la dimostrazione che si può avere un approccio che coinvolge tutte le forze politiche nel fare piccole o grandi riforme delle nostre Istituzioni. Ciò si può fare a condizione di avere un approccio pragmatico e cercare di fare delle regole che soddisfino meglio le esigenze delle Istituzioni – in questo caso, del Senato – e non la convenienza di parte. Credo che se, in futuro, si ritornerà – io spero di sì – a pensare alla Costituzione, bisognerà lavorare con il metodo adottato per questa riforma del Regolamento e non con quello usato nella parte precedente della legislatura per la riforma della Costituzione che, non a caso, è stata bocciata dagli Italiani.

Venendo al contenuto della riforma in esame, l’intendimento è quello di rendere i lavori più efficienti e rapidi ed evitare perdite di tempo per questioni formalistiche. Ritengo che ciò sia un aspetto sicuramente positivo. Ricordo che non sempre è bene uniformarci a quanto fa la Camera dei Deputati perché, nell’altro ramo del Parlamento, non sono riusciti a combinare nulla. Quindi, procediamo con prudenza. Tuttavia, laddove alla Camera delle cose funzionano meglio, ben vengano. Penso, ad esempio, al meccanismo che semplifica la richiesta del voto elettronico – prevedendo che, anziché richiederlo ogni volta, come è sempre stato previsto nel Regolamento del Senato, un Gruppo o un numero adeguato di senatori possano richiederlo con riferimento a più votazioni. Ciò eviterebbe una grande perdita di tempo.

Ci sono, poi, le norme che scoraggiano i passaggi da un Gruppo all’altro – o, meglio, vietano la formazione di nuovi Gruppi parlamentari, a meno che non rispecchino Partiti che si sono presentati alle elezioni e hanno visto eletto i propri rappresentanti. In sé, è sicuramente condivisibile che non si assecondi troppo la tendenza al trasformismo che taluni parlamentari hanno manifestato. Va però detto che, in questo modo, per dei senatori eletti a Sinistra, che ritengano di non riconoscersi più nel Gruppo di appartenenza, sarà impossibile formare un nuovo Gruppo di Sinistra. Ciò può avere il suo senso, ma non si può impedire a nessuno di questi senatori di passare a un Gruppo della parte opposta. Pertanto, un senatore eletto a Sinistra non avrà alcuna difficoltà a passare a un Gruppo di Destra – il che, insomma, è un po’ incongruo rispetto all’altra proibizione. Parlo, ora, in generale delle norme che la riforma intende introdurre. Le nuove norme possono determinare in parte un cambiamento dei comportamenti – si spera, naturalmente, in modo positivo – ma non cambiano gli orientamenti veri. Sono convinto che moltissimi dei colleghi – la grande maggioranza – che hanno cambiato Gruppo, lo hanno fatto perché non si riconoscevano più nel Gruppo di appartenenza. Possono avere torto o ragione, naturalmente, ma in ogni caso questo fenomeno esiste ed è sempre esistito, in particolare in questa legislatura. Se, poi, gli elettori di questi parlamentari ritengono che hanno sbagliato a uscire dal Gruppo di appartenenza e preferiscono la casa-madre, allora lo manifesteranno al momento di votare, punendo i Gruppi che eventualmente nascono in questo modo.

Se applicassimo le norme contenute nella riforma alla situazione di questa legislatura, avremmo un Gruppo Misto di 90 o 100 membri, se non ancora di più. Non credo che, se la riforma fosse già in vigore, i senatori avrebbero lasciato perdere e sarebbero rimasti nel Gruppo di appartenenza. Almeno una grandissima parte di loro sarebbe uscita dai Gruppi di appartenenza e avrebbe dato origine a un mastodontico Gruppo Misto, che sarebbe sottoposto alle stesse regole degli altri (e qui ci si può anche stare) e le regole verrebbero irrigidite. Pensiamo a un caso ipotetico – che spero resti tale, perché credo che la fisiologia dovrebbe essere che un movimento politico si presenti alle elezioni e che suoi rappresentanti, con qualche divergenza al loro interno, restino nel Gruppo e si esprimano nel corso delle votazioni. Ma, quando questo non succede, però, vorrebbe dire che questo Gruppo Misto – dove ci sarebbero persone di destra, di sinistra, di centro, provenienti da vari schieramenti – avrebbe diritto a esprimere una sola dichiarazione di voto in una serie importante di circostanze, senza dare conto alcuno della varietà di rappresentanze che può avere e che, anzi, anche oggi stesso ha al suo interno. È anche giusto che abbia a disposizione lo stesso tempo concesso agli altri Gruppi, ma la rigidità della regola secondo cui può parlare una sola persona è eccessiva.

Ringrazio i senatori Palma e Caliendo per aver sollevato la questione dell’illustrazione degli emendamenti. Qui non si tratta soltanto di tutelare il dissenso, perché non c’è soltanto quello: ci sono anche i punti diversi che possono emergere negli emendamenti a un solo articolo. Fisiologicamente, un articolo dovrebbe essere composto da cinque, sei o sette commi, ma molte volte abbiamo visto articoli di 500 o 700 commi. Altre volte, sempre restando nella fisiologia, quando si riforma un articolo del Codice penale o del Codice civile, ordinariamente l’articolo è uno solo – perché, se si riforma un articolo del Codice penale, sarà uno solo l’articolo che lo esprime. Ci può, quindi, essere non soltanto dissenso, ma diversi punti di vista che sarebbe interessante poter ascoltare nell’illustrazione degli emendamenti prima che il Relatore si esprima. Poi, il Relatore può anche tornare sui propri passi – ma credo che sarebbe meglio non confidare troppo, nel cambiare le norme, nel fatto che poi ci sarà la discrezionalità della Presidenza, perché altrimenti manteniamo la discrezionalità e lasciamo stare le regole. Sappiamo che difficilmente un Presidente direbbe di “no” a un Senatore che vuole illustrare un aspetto particolare, ma dovrebbe farlo non nell’ambito della discrezionalità, ma addirittura in violazione del Regolamento.

Sempre in merito al rischio di irrigidire eccessivamente le regole, bisogna ricordare che la grandissima parte dei lavori di Commissione che si vogliono potenziare con questa riforma è regolata dalle stesse norme che vigono per l’Assemblea – ad esempio, in merito alla durata degli interventi. Sarebbe stato il caso, allora, di introdurre qualcosa di specifico per le Commissioni; perché, se può avere giustificazione – anche se a mio parere è eccessivo – il fatto di limitare l’illustrazione degli emendamenti, ovvero l’intervento sul complesso degli emendamenti in Aula, in Commissione per poter intervenire, se non si sono presentati emendamenti su un articolo, non si ha modo di farlo. Si può intervenire, anche lì, solo una volta che il Relatore si è espresso e in dichiarazione di voto – magari in dissenso, ma anche senza il dissenso – perché le regole sono le stesse, quindi tutto quello che vediamo in Assemblea dovrebbe essere applicato in Commissione, a meno che il Presidente della Commissione, anche in quel caso arbitrariamente e discrezionalmente, usi più il buonsenso del Regolamento e dica che, poiché si è in Commissione, quella regola non vale. Se interveniamo sul Regolamento, dovrebbe essere per chiarire le regole e non per irrigidirle, al punto da rendere necessario o addirittura indispensabile in certi casi derogare a queste regole. Io sarei per avere meno regole e nessuna deroga, piuttosto che più regole e tante deroghe.

Detto questo, nel ringraziare i membri della Giunta per il Regolamento per il lavoro che hanno svolto in Commissione, anche in sede di esame degli emendamenti presentati per l’Assemblea, conto che ci sia un ulteriore approfondimento e ulteriori miglioramenti nell’ambito della discussione degli emendamenti che verranno esaminati domani.

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