Atlantia sale ancora in borsa, arrivando a recuperare il 50% rispetto a marzo 2020, guadagnando il 7% solo negli ultimi tre giorni di borsa. Normale, visto che – fatti i conti – se va in porto la cessione del suo pacchetto di Aspi a Cassa Depositi e Prestiti, incasserà oltre 7 miliardi più di quanto le spetterebbe se lo Stato si avvalesse della possibilità di recesso dettagliatamente prevista dalla Convenzione Unica del 2007. Non è certo un caso che nell’assemblea degli azionisti di ieri abbia votato a favore della cessione anche Tci, il fondo inglese da sempre contrario all’offerta di Cdp. La cifra di 2,4 miliardi di cui si parla è solo una piccola parte di quanto realmente si avvantaggerà Atlantia, perché lo Stato si accolla anche circa 9 miliardi di debiti fatti a suo tempo da Aspi per aumentare i dividendi, i 3,4 miliardi stimati come danni a terzi per il disastro del Ponte Morandi e altro ancora. Come ha evidenziato la lettera del presidente della Commissione Finanze del Senato Luciano D’Alfonso all’Autorità di Regolazione sui Trasporti, la differenza sarebbe di 7,3 miliardi, nell’ipotesi che nell’eventuale contenzioso in tribunale lo Stato perda sempre. Giustamente gli azionisti hanno votato nel loro interesse. Al Governo tocca ora fare gli interessi del Paese che, mettendo finalmente a gara la concessione una volta revocata ad Aspi, potrebbe ricavare, altre decine di miliardi da investire in infrastrutture, non necessariamente sulla rete oggi oggetto della Convenzione con Aspi