Caso Di Girolamo: invito a votare in base ai fatti e secondo coscienza, e non secondo pregiudizi o schieramento politico

Per aver segnalato il numero civico giusto, della via giusta e della casa giusta ma al Municipio sbagliato, il senatore Di Girolamo non sarà più senatore e sarà soggetto all’arresto

Intervento in Aula nella discussione sulla Relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari riguardante l’elezione contestata nella circoscrizione Estero-ripartizione Europa del senatore Nicola Paolo Di Girolamo

Signor Presidente, Onorevoli Colleghi,

il voto con cui si è respinta la proposta di rinviare la discussione del punto all’ordine del giorno è stato, alla fine, un voto per parti: anche se su questi argomenti ciascuno risponde esclusivamente alla propria coscienza, è abbastanza palese che la coscienza si è ripartita secondo gli schieramenti.

Credo – per passare immediatamente all’argomento e non rinviarlo – che almeno gran parte di coloro che hanno votato lo hanno fatto parecchio convinti di ciò di cui si discuteva, convinti cioè che il senatore Di Girolamo avesse imbrogliato, avesse dichiarato ciò che non corrispondeva alla realtà e, in particolare, avesse dichiarato di possedere un requisito indispensabile alla candidatura e, di conseguenza, all’elezione nella circoscrizione Estero quando invece non ce l’aveva. Se così fosse, il voto non avrebbe dovuto avere il margine di un solo senatore, ma piuttosto un margine schiacciante, perché è evidente che nessuno ritiene che ci debba essere in Senato un membro di quest’Assemblea che non ne abbia diritto fin dall’inizio, fin da prima di candidarsi.

La relazione del Comitato inquirente, alla quale si è richiamato il senatore Augello, è stata redatta con grande cura e precisione. Tale relazione ricostruisce con esattezza i fatti e i fatti derivano tutti da un passaggio iniziale, al quale però mi pare non sia stata prestata la dovuta attenzione, tanto che alla maggior parte dei Colleghi con i quali mi è capitato di parlare è sostanzialmente sfuggito.

I fatti sono questi. La norma della legge elettorale, sulla quale peraltro sono stati sollevati dubbi di costituzionalità (ma, d’altra parte, la proposta di portare la questione di fronte alla Corte costituzionale è stata respinta anche nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari: pertanto i dubbi sono superati), prevede che al momento di presentare la candidatura si debba essere residenti all’estero.

Molti pensano che il trasferimento della residenza dall’Italia all’estero funzioni come un trasferimento di residenza da un Comune italiano a un altro, per cui, se un cittadino vuole trasferire la propria residenza da Roma a Milano, dovrà recarsi al Comune di Milano e dichiarare di risiedere in una certa unità abitativa; il Comune provvederà quindi agli accertamenti necessari per verificare l’effettiva residenza al proprio interno e sarà sempre il Comune di Milano a richiedere al Comune di Roma il trasferimento dei relativi documenti. In quel momento – ma mi risulta, peraltro, giuridicamente dal momento in cui la richiesta è stata presentata – quel cittadino sarà effettivamente residente a Milano se prima era residente a Roma.

All’estero non funziona allo stesso modo. Io sono stato iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero e non ho mai avuto dal Comune estero dove risiedevo alcuna certificazione; o, meglio, ce l’ho avuta ma non l’ho mai presentata né al Comune italiano presso cui ero iscritto all’Anagrafe dei Residenti all’Estero né al Consolato, che era peraltro a 1.000 chilometri da dove abitavo io e che, se era a conoscenza della mia residenza in quell’area, era stato informato dal mio Comune di provenienza. Il mio anno e mezzo di residenza all’estero è stato, pertanto, certificato unicamente da una mia dichiarazione presso il Comune nel quale risiedevo precedentemente in Italia e da nulla altro. Le norme sono state modificate in seguito, ma solo negli aspetti procedurali e non negli aspetti sostanziali.

In questo caso, l’attuale senatore Nicola Di Girolamo, all’epoca evidentemente non ancora senatore, intendeva presentarsi all’estero per avere, evidentemente, lavorato all’estero. D’altra parte, l’evidenza sta nel fatto che il senatore Di Girolamo ha preso 24.000 preferenze all’estero – segno, senatore Micheloni, che qualche presenza all’estero ce l’aveva e rappresenta l’estero esattamente quanto Lei. Mi meraviglio che Lei, senatore, che fa parte dello schieramento che ha saputo esprimere grande sdegno per una battuta del Presidente del Consiglio sulla questione della violenza sessuale (che non aveva a mio parere nulla di offensivo) pensi di paragonare quanto è accaduto, che vado a descrivere, allo stupro. Direi che, se c’è qualcosa di offensivo, è paragonare una cosa tremenda com’è lo stupro a una questione legata ad un numero civico.

Il senatore Nicola Di Girolamo, all’epoca, in tempi più che regolari, ha chiesto di trasferire la propria residenza in un certo indirizzo che era assolutamente quello corretto, all’interno dell’area urbana di Bruxelles. Ma in Belgio, in particolare nell’area di Bruxelles, la residenza non si prende in un Comune, come in Italia, ma all’interno di una municipalità. Coloro che vivevano nell’appartamento presso cui Nicola Di Girolamo ha chiesto di trasferirsi non sapevano che a quella via, a quel numero civico, non corrispondeva quel certo Municipio bensì quello accanto. In altre parole, l’appartamento è quello lì, la via è quella lì ma, contrariamente a quanto coloro che hanno dato ospitalità a Nicola Di Girolamo ritenevano, il Comune è quello accanto e non quello lì. Questo è ciò che il senatore Micheloni ha paragonato allo stupro, e ciò è veramente fuori luogo (e non voglio a mia volta usare parole al di là della decenza).

A questo punto, fatta questa domanda presso il Municipio sbagliato (ma riguardo l’unità abitativa, il luogo fisico giusto), il senatore Di Girolamo si è recato al Consolato dicendo di aver fatto quello che esattamente aveva fatto, e cioè di avere preso residenza a un certo indirizzo – che è reale ma errato, perché non corrispondeva alla municipalità corretta. Da qui si è generato quanto è accaduto in seguito, ossia che il Consolato ha comunicato il trasferimento di residenza, dando luogo agli eventi successivi: la candidatura è stata accettata, Nicola Di Girolamo ha ottenuto 24.000 preferenze ed è stato, quindi, proclamato eletto e fa parte di questa Assemblea.

La questione è la seguente: è sufficiente la dichiarazione fatta dall’interessato o ci vuole una verifica ulteriore? Nell’anno e mezzo in cui sono stato residente all’estero, ho ricevuto il certificato elettorale presso il mio indirizzo all’estero senza che ci fosse stata alcuna certificazione da parte del Comune estero in cui io risiedevo, senza che ci fosse stata una certificazione e senza che io neppure sapessi esattamente dove si trovasse il Consolato. Ma – ripeto – io fui regolarmente residente lì, al punto che il certificato elettorale mi giunse a quell’indirizzo. È allora corretta la procedura che si segue in quei casi, oppure è obbligatorio avere un’ulteriore prova?

C’è un ulteriore argomento che sostiene che Nicola Di Girolamo – dopo aver fatto questa domanda e aver avviato la pratica presso il Municipio (purtroppo per lui, quello sbagliato) e dopo essersi recato al Consolato italiano – si sarebbe fatto vedere in quell’appartamento forse una volta o due o poco più. Io, però, rivolgo una domanda ai Colleghi: chi si candida da qualche parte (ad esempio in un collegio di 200.000 abitanti, come quelli che c’erano fino al 2001), quanto tempo passa a casa propria durante la campagna elettorale? Quanto tempo passa a casa chi si candida come il senatore Di Girolamo o il senatore Micheloni? Senatore Micheloni, quanto tempo Lei ha passato a casa sua, dovendo andare a cercare le preferenze (che ha trovato) in tutta l’Europa? Io non credo molto. Quando in elezioni precedenti sono stato candidato sul collegio, io passavo a casa – quando ci tornavo – per poche ore.

È questo ciò di cui stiamo parlando e, di conseguenza, non è la verità assoluta contro il falso assoluto. C’è chi ha dato un’interpretazione secondo cui è indispensabile avere una documentazione completa ed essere registrati presso la municipalità straniera nella quale si intende prendere la residenza – nel qual caso il senatore Di Girolamo non aveva i titoli per candidarsi – e c’è un’altra interpretazione in forza della quale questo non è necessario.

Io vi ripeto che, nella mia esperienza di italiano residente all’estero (ho risieduto talmente tanto all’estero che i miei figli non sono nati in Italia), questo non si è mai verificato. Ripeto: non si è mai verificato. Non mi è mai stato chiesto di portare alcun tipo di certificato di residenza in questa località; non mi sono mai recato al Consolato.

Il senatore Di Girolamo, per certificare la sua residenza all’estero, ha fatto molto di più di quello che ho fatto io, solo che si è recato nell’ufficio sbagliato, perché tutti noi sappiamo dov’è Bruxelles ma credo che nessuno sappia dove si trova Etterbeek o Woluwe-Saint-Pierre. Credo che nessuno di noi lo sappia. Non lo sapeva esattamente neanche lui, pensava che il confine fosse un numero civico accanto. Questo è ciò di cui stiamo parlando. Ora, per quanto poco possa essere un numero civico, fa pur sempre la differenza in quanto si passa da un Comune ad un altro. La sostanza qual è? Che lui ha segnalato di risiedere in un appartamento che esiste, a numero che esiste e in una via che esiste, solo che né lui né le persone che gli hanno dato ospitalità sapevano che quell’appartamento apparteneva ad una certa municipalità piuttosto che ad un’altra.

Stiamo parlando di una cosa di sostanza o di un vizio di forma? La sostanza è che Nicola Di Girolamo ha chiesto e segnalato di aver trasferito la sua residenza in un concreto luogo – di cui non si sa con certezza se si trova a Etterbeek o a Woluwe-Saint-Pierre – che sicuramente è all’estero. Di questo stiamo discutendo. Suggerirei, pertanto, una valutazione più equilibrata e di evitare paragoni totalmente fuori luogo.

La decisione che il Senato assumerà, per presa d’atto o attraverso il voto, verterà su questo: ciò che determina la nostra decisione è il fatto che ho descritto, che corrisponde a quanto accertato dal Comitato inquirente. Se la decisione del Senato, indipendentemente dal fatto se avverrà per presa d’atto o attraverso un voto, sarà di dichiarare decaduto il senatore Di Girolamo dalla sua carica di parlamentare, osservo che per questo gravissimo fatto – e cioè per aver segnalato il numero civico giusto, della via giusta e della casa giusta ma al municipio sbagliato – il senatore Di Girolamo non sarà più senatore e sarà soggetto all’arresto, che questo Senato all’unanimità ha respinto pochi mesi fa. Questo è quello che stiamo giudicando. Io, membro della Giunta, ho partecipato alle votazioni. Ricordo che la votazione non ha avuto un esito unanime, contrariamente a quanto probabilmente nella fretta è stato ritenuto, ma questo è ciò di cui stiamo parlando. Questa è la responsabilità che ci si assume nel prendere questa decisione, e direi che da questo episodio allo stupro e alla violenza del Parlamento c’è una bella differenza.

Ricordo che qualche anno fa, con un voto a maggioranza, accertato che un certo candidato avesse preso meno voti di un altro – e non c’erano fatti opinabili – si decise con un voto a maggioranza che quello che aveva preso meno voti restava membro del Parlamento e che quello che ne aveva presi di più restava fuori dal Parlamento. Per la cronaca, il candidato che restò in Parlamento prendendo meno voti apparteneva alla Sinistra, di cui è tuttora prestigioso esponente in quanto Presidente di una grande Regione. Vorrei, pertanto, invitare i Colleghi a esprimere il loro voto sulla base di ciò di cui stiamo parlando, possibilmente non sulla base di schieramenti o sulla base della prospettazione della persona della quale stiamo trattando come fosse un pericoloso delinquente ma considerando che si tratta di qualcuno che ha sbagliato il numero civico, pur ottemperando a ciò che la legge dispone. E la legge, nello specifico, richiede che la residenza sia fissata all’estero.

Certamente, la legge poteva essere meglio disegnata. Forse sarebbe stato opportuno prevedere che la residenza all’estero risalisse a parecchio tempo prima (ma la legge non lo prevede) oppure non stabilire alcun requisito, visto che oggi chiunque risieda in Italia può candidarsi in una qualunque Regione, Provincia o Comune d’Italia. Visto, però, che nella legge è indicato che si deve essere residenti all’estero nel momento in cui si presenta la propria candidatura, a quella legge ci dobbiamo attenere rammentando le procedure con le quali ordinariamente un cittadino italiano si trasferisce all’estero.

Quando l’ho fatto io, ho fatto molto meno di quanto ha fatto Nicola Di Girolamo per attestare il suo trasferimento all’estero. Tuttavia, di fatto ero residente all’estero, lo ero di diritto, e mi è stato riconosciuto il diritto di votare e di godere dello sconto previsto per il treno che utilizzavo per recarmi dall’aeroporto alla mia abitazione, nel caso avessi voluto votare. A tutti gli effetti ero, dunque, residente all’estero.

Mi pare che questo sia l’argomento. Invito quindi, ancora una volta, i Colleghi a votare basandosi sui fatti e secondo coscienza, non secondo pregiudizi o schieramento politico.

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