Caso Scaramella: una vicenda inquietante e anomala, che viola apertamente la Costituzione e, soprattutto, i diritti di un cittadino che è in carcere e di un parlamentare che è qui, in quest’Aula

Quando è in ballo la Costituzione, la vita di un cittadino e, di conseguenza, la libertà di tutti i cittadini, il Ministro della Giustizia deve agire

Intervento in Aula per lo svolgimento dell’interpellanza 2-00141

Signor Presidente,

abbiamo una serie di fatti particolarmente gravi.

Il primo è che da 114 giorni il dottor Mario Scaramella si trova in carcere in stato di arresto per motivi cautelari, inizialmente per il reato di calunnia, e in seguito per l’accusa – che, da quanto è possibile sapere, pare assolutamente grottesca – di avere organizzato un traffico d’armi. Il traffico d’armi sarebbe precisamente quello che lui, con questa presunta calunnia, ha consentito di sventare, consegnando alla Polizia, alla Magistratura e alle Autorità competenti un gruppo di ucraini che è stato effettivamente colto grazie – lo sappiamo dalle carte inviate al Senato dalla Procura – alle segnalazioni di Mario Scaramella.

Mario Scaramella, il 14 ottobre 2005, segnala a una stazione di Polizia di Napoli l’arrivo dall’Ucraina di cittadini ucraini in possesso di granate e di lancia-granate che, secondo le informazioni da lui fornite, avevano l’intenzione di effettuare un attentato – probabilmente ai danni del senatore Paolo Guzzanti, dello stesso Scaramella e di Andrej Ganchev, collaboratore di Scaramella. Queste persone vengono effettivamente arrestate e rimangono a lungo in detenzione; il processo riprenderà il 22 maggio prossimo.

Nei mesi seguenti a tale arresto, non viene intrapresa alcuna azione nei confronti di Mario Scaramella – sarebbe stato davvero strano che ciò avvenisse – e soprattutto, a partire dal marzo 2006, non succede più nulla in questo processo: non ci sono carte che attestino una qualche attività al riguardo.

Improvvisamente tutto si risveglia quando, nel novembre 2006, Aleksandr Litvinenko (indicato da Mario Scaramella come una delle fonti delle notizie che portano all’arresto dei cittadini ucraini) viene assassinato con quella che si può definire una micro-bomba sporca, cioè con del polonio che, dopo alcune settimane di penosa agonia, lo porta alla morte. È da notare che, nei 13 mesi intercorsi tra la segnalazione fatta da Scaramella alle Autorità e la morte di Litvinenko, il signor Aleksandr Litvinenko non viene mai ricercato dalle Autorità giudiziarie per fornire ulteriori notizie – pur essendo, secondo quanto riferito da Scaramella, la fonte di quelle notizie servite per arrestare persone in possesso di armamenti e, secondo la futura ricostruzione fatta dalla Procura, la fonte della presunta calunnia di cui si sarebbe macchiato Mario Scaramella.

Una volta morto Aleksandr Litvinenko, vi è un improvviso rifiorire di attività e c’è una sequenza inquietante.

È nota a tutti la vicinanza di Mario Scaramella con Aleksandr Litvinenko, il quale viene colpito dall’attentato il giorno stesso in cui incontra Mario Scaramella; addirittura Scaramella viene indicato come uno dei possibili colpevoli dell’omicidio, ma da questa accusa viene completamente scagionato perché si scopre che il contatto con il polonio non avviene durante il colloquio con Scaramella.

È noto, poi, che Mario Scaramella viene interrogato sui fatti e collabora con le Autorità britanniche, che lo ringraziano per l’ampia collaborazione ricevuta; viene ricoverato in un ospedale di Londra perché irradiato indirettamente dal polonio (in un primo tempo, si teme in maniera massiccia e forse mortale, ma poi si scopre che si tratta di quantità minime) e quindi se ne annuncia il ritorno in Italia.

Il 4 dicembre, il Ministro della Giustizia Mastella rilascia una dichiarazione nella quale afferma: «Chiedo alla Magistratura di fare accertamenti seri prima che Scaramella faccia nomi». Credo sia anomalo che un Ministro della Giustizia faccia una richiesta così specifica e, per di più, pubblica alla Magistratura di fronte a un caso così increscioso. La richiesta di Mastella viene ascoltata oppure coincide con azioni che la Magistratura intende comunque intraprendere; sta di fatto che, il 6 dicembre, due giorni dopo, la DIGOS consegna alla Procura di Roma che ne ha competenza, un’informativa in cui si attribuisce a Scaramella la responsabilità di calunnia ravvisabile nelle dichiarazioni di cui abbiamo detto.

Con tempismo straordinario – che ci auguriamo sia sintomo di un generale risveglio della velocità dell’attività giudiziaria, ma mi pare che non lo sia – il 7 dicembre la Procura chiede al GIP l’arresto di Scaramella; il giorno stesso il GIP lo autorizza. Il tutto, pertanto, è avvenuto con una velocità straordinaria.

Le vicende descritte sono contenute nella mia interpellanza ma ho trovato su un giornale, il mensile «Area», un altro fatto che coincide con questa grande sequenza: il 4 dicembre Mastella chiede che si accertino bene le cose prima che Scaramella faccia i nomi; il 6 dicembre c’è l’informativa della DIGOS; il 7 dicembre la richiesta e la concessione del mandato di arresto per Scaramella, ma il 5 dicembre il Ministro degli Esteri D’Alema incontra il presidente Putin a Mosca. Questo mensile sembra riportare – forse citando fonti pubbliche, anche se non ho avuto francamente tempo per controllare questo aspetto – che oggetto del colloquio di D’Alema con Putin non siano state soltanto le grandi questioni di politica internazionale, ma anche il caso Litvinenko e Scaramella. Abbiamo, pertanto, un’ulteriore coincidenza. Questo è un aspetto della vicenda a proposito del quale già si rivelano molti fatti anomali.

Scaramella poi, al suo rientro, sarà arrestato il 24 dicembre e tuttora è in carcere: 114 giorni per una presunta calunnia nei confronti di un personaggio, il signor Aleksander Talik – che è stato per anni clandestinamente immigrato in Italia, senza che mai sia stato fatto nulla per rimediare a questa condizione di illegalità – che è stato altresì ascoltato molto dopo dalla Magistratura. Giova sapere che il Talik è stato anche denunciato da un suo connazionale per minacce che, guarda caso, sono avvenute nei giorni in cui Scaramella riferiva alle autorità le notizie su questo traffico di armi e su questo possibile attentato terroristico. Il Talik affermerà che le minacce erano dovute alla mancata restituzione di 300 euro, mentre il soggetto che ha subito le minacce riferiva, invece, che si trattava di ben altro argomento, senza specificare quale.

Allora, abbiamo una serie di fatti davvero inquietanti, cui si aggiunge un capitolo altrettanto inquietante che riguarda il terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione, che stabilisce che nessun parlamentare può essere sottoposto a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza, senza autorizzazione della rispettiva Camera di appartenenza. Ebbene, abbiamo le prove – sarebbe perfino enfatico dire “prove”, perché fanno parte della domanda di autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni di conversazioni telefoniche – che dimostrano che il dottor Mario Scaramella era intercettato nelle sue conversazioni, che si svolgevano principalmente – com’era normale poiché era consulente della Commissione Mitrokhin – con il senatore Paolo Guzzanti, presidente della Commissione Mitrokhin. La prima conversazione di cui abbiamo notizia noi – ma forse ce ne sono state in precedenza – data 11 novembre 2005; ce ne sono decine di altre e la richiesta di autorizzazione all’utilizzo di queste intercettazioni arriva il 26 gennaio 2007, cioè 14 mesi dopo. Durante questo periodo il terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione è andato in eclissi, è come se non fosse esistito.

Aggiungo che c’è un fatto particolarmente interessante: tra le conversazioni (questo è un documento che può essere addirittura trovato su Internet, per cui non rivelo nulla di riservato che riguardi la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari) di cui si chiede l’utilizzo, ve n’è una intercorsa il 15 febbraio 2006, cioè quando da più di tre mesi si stava intercettando di fatto il senatore Paolo Guzzanti. Da questa conversazione si attesterebbe, secondo la Procura, la sussistenza del reato, di cui riferirò tra poco, senza che in atti emergano altre specifiche fonti di prova su tale delitto che è stato contestato a Mario Scaramella.

Abbiamo ascoltato pochi giorni fa la registrazione di questa conversazione, nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. Su questo non riferisco in modo dettagliato, ma diciamo che la forza probatoria di questa telefonata non è stata particolarmente impressionante, se posso riferire vagamente un fatto per averlo ascoltato. Tra l’altro, viene contestato al dottor Scaramella un reato la cui notizia proviene unicamente da un’intercettazione che non avrebbe dovuto avere luogo, che cioè avrebbe avuto luogo – diciamo così – incidentalmente. Evidentemente, i magistrati mai avrebbero pensato che, controllando l’utenza telefonica del principale collaboratore del senatore Guzzanti, presidente di una Commissione d’inchiesta che ha i poteri della Magistratura (e ricordo che il dottor Scaramella è giudice onorario), avrebbero intercettato anche il senatore Guzzanti! Ebbene, questa intercettazione che non dovrebbe esistere, o comunque non dovrebbe essere minimamente utilizzata, è l’unico elemento che consente di contestare uno dei reati imputati al dottor Scaramella.

Abbiamo davvero una situazione molto anomala. Spero che il Ministro si avvarrà degli strumenti che la Costituzione specificamente gli assegna, con l’articolo 107, e tuttavia ricordo il fatto più impressionante dal punto di vista umano: quello di una persona che si trova da 114 giorni in carcere. Nell’interpellanza ho chiesto se si conoscano altri casi di arresto preventivo di 114 giorni per il reato di calunnia o se si conoscano altri casi di un reato di calunnia ravvisato quattordici mesi dopo che il testo in cui vi sarebbe la calunnia è stato messo a disposizione dell’Autorità e senza che nuovi fatti siano emersi; tranne uno, l’assassinio di Aleksander Litvinenko.

Riferendosi a quest’ultimo (cito alcuni articoli comparsi sul quotidiano “Roma”, a firma di Gian Paolo Pelizzaro e Vincenzo Nardiello), Talik afferma: «Ho chiesto il responsabile di questo…» – segue un improperio – «chi ha fatto queste dichiarazioni, queste bugie. Ho dato tutto a un ragazzo, si chiama Vitalik e porterà tutto a Mosca». Parlando con un’altra persona, il povero calunniato Talik aggiunge: «Io gli ho detto che mi daranno l’informazione su chi è questa persona, su che cosa ha fatto, che porco è e da dove è uscita fuori». Il calunniato Talik, per la cui tutela Mario Scaramella è in carcere da 114 giorni, è uno che ha proferito parole durissime nei confronti di Aleksander Litvinenko, il quale, sempre per coincidenza, è venuto a morte violenta; anzi, peggio che violenta, atroce e subdola, per vicende che tutto fa pensare – ma su questo cito gli organi di informazione internazionali, visto che quelli nazionali, con poche eccezioni, hanno totalmente ignorato la vicenda – siano tra loro in qualche modo connesse: l’arresto degli ucraini, secondo Scaramella collegati a Talik, avvenuto grazie a notizie che Scaramella afferma di avere avuto da Litvinenko, e l’assassinio di quest’ultimo.

C’è un altro fatto collegato, che sicuramente non ha nulla a che fare con tutto ci, ma va detto, poiché anche oggi abbiamo notizie che riguardano il presidente Prodi. Vi sono infatti alcune carte in cui si dice: «Abbiamo in mano l’ex presidente dell’IRI». La notizia è che, in tutto questo giro di informazioni, Aleksander Litvinenko avrebbe parlato anche della presunta vicinanza di Romano Prodi al KGB, i Servizi segreti sovietici.

Questo aggiunge un aspetto inquietante che, proprio perché certamente quest’ultimo fatto non ha nulla a che fare con l’intera vicenda – né con l’assassinio di Litvinenko, né con l’anomala carcerazione di Mario Scaramella – dovrebbe spingere il Governo, nell’interesse di tutti, in primis dello stesso Esecutivo, a chiarire quale sia la realtà dei fatti e quali azioni siano state intraprese per vedere più chiaro in questa vicenda, inquietante e anomala, che viola apertamente la Costituzione e – mi pare – soprattutto i diritti di un cittadino che è in carcere e di un parlamentare che è qui, in quest’Aula.

Risposta del Sottosegretario di Stato per la Giustizia

[…] Per quanto riguarda il tema delle intercettazioni a carico dei parlamentari, nel disegno di legge non vi è nessuna ulteriore previsione rispetto alla legislazione vigente e, in particolare, all’articolo 6 della legge 20 giugno 2003, n. 140, che già prevede una compiuta disciplina per il caso in cui, nel corso di operazioni di intercettazione telefonica disposte nei confronti di soggetti che non siano membri del Parlamento, vengano intercettate conversazioni alle quali abbiano partecipato parlamentari.

Tale disciplina risulta in linea con il disposto dell’articolo 68 della Costituzione, in quanto impone al giudice per le indagini preliminari di richiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza, anche per l’utilizzazione di intercettazioni non disposte nei confronti di parlamentari ma che, comunque, coinvolgono la loro persona, circostanza quest’ultima che può essere valutata solo successivamente alla realizzazione dell’intercettazione medesima.

Infatti, se il giudice per le indagini preliminari ritiene necessario utilizzare le intercettazioni, «decide con ordinanza e richiede, entro i dieci giorni successivi, l’autorizzazione della Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in cui le conversazioni o le comunicazioni sono state intercettate». Qualora, invece, ritenga le suddette conversazioni irrilevanti «sentite le parti (…), ne decide la distruzione integrale (…), a norma dell’articolo 269, commi 2 e 3, del codice di procedura penale».

Tanto premesso, per quanto riguarda la specifica vicenda giudiziaria, il Procuratore della Repubblica di Roma ha riferito che, nell’ambito delle indagini disposte dalla Procura di Napoli e trasmesse alla Procura di Roma, ex articolo 11 del Codice di procedura penale, furono effettuate intercettazioni di utenze in uso, tra l’altro, a Mario Scaramella. In tale ambito furono intercettate conversazioni intrattenute dallo Scaramella con il senatore Paolo Guzzanti. Al riguardo, la Procura di Roma ha correttamente intrapreso la suindicata procedura, prevista dall’articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003. La richiesta di autorizzazione inoltrata dal GIP di Roma è attualmente all’esame della competente Commissione (dieci giorni dalla intenzione di voler utilizzare il contenuto).

Lo Scaramella è tuttora detenuto a seguito di un’ordinanza di custodia in carcere del GIP di Roma per il reato di calunnia aggravata e continuata e di una ulteriore ordinanza custodiale per concorso in violazione della legge sulle armi da guerra. Nei confronti di entrambe le ordinanze sono stati esperiti i rimedi processuali previsti dalla legge. I ricorsi al Tribunale del riesame di Roma sono stati entrambi rigettati. La Procura di Roma ha anche comunicato che, in ordine alla illegittima divulgazione di notizie riservate, sta «procedendo per violazione dell’articolo 684 del Codice penale».

Per quanto attiene ai profili disciplinari, deve affermarsi che, alla luce degli elementi acquisiti, non si rilevano profili in base ai quali si possa ritenere l’operato dei magistrati procedenti tale da aver attinto in maniera indebita la sfera della rilevanza della tutela del parlamentare e, quindi, aver inciso sulla condotta corretta con violazione di regole sanzionabili disciplinarmente. Invero, le conversazioni intercettate tra lo Scaramella e il senatore Guzzanti sono state trattate secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003.

Quanto alla sproporzione – punto sul quale si sono soffermati entrambi gli interroganti – tra il reato contestato e le misure cautelari applicate e la durata della custodia cautelare, deve affermarsi che non compete all’autorità politica entrare nel merito dei provvedimenti giurisdizionali, essendo essi riservati alla competenza dell’autorità giudiziaria. Per far valere eventuali motivi di doglianza, sono apprestati rimedi endo-processuali, che sono stati anche esperiti nel caso di specie. Allo stesso modo, deve rilevarsi che la necessità di adottare provvedimenti cautelari in procedimenti per calunnia e sul protrarsi delle esigenze cautelari sono di spettanza dell’autorità giudiziaria. Certamente si può sottolineare che la scelta del legislatore è stata quella di consentire l’emissione di misure restrittive della libertà personale per questo titolo di reato.

In conclusione, l’intervento del Ministro della Giustizia sarebbe stato sicuramente doveroso se fossero emersi profili di abnormità, violazioni di legge o negligenze attribuibili ai magistrati ma, in base alle conoscenze che abbiamo, allo stato non risultano in alcun caso tali negligenze, quindi non risultano presupposti per iniziative di tipo disciplinare.

Replica del senatore Malan

Signor Presidente,

voglio innanzitutto ringraziare il Sottosegretario, avvocato Li Gotti, per le informazioni che ci ha fornito. Purtroppo, però, non si è andati al cuore del problema.

Il senatore Valentino ha sottolineato un aspetto: se c’è un responsabile, se la legge dà disposizione al magistrato di segretare certi documenti, qualora essi finiscano addirittura sui giornali ci dovrebbe essere una responsabilità. Non possiamo condannare qualcuno per responsabilità oggettiva – anche se pare che qualcuno, in realtà, possa essere condannato, secondo una certa giurisprudenza, per responsabilità oggettiva ovvero perché “non poteva non sapere”, ma questa è un’altra storia – ma si potrebbe quantomeno compiere un accertamento preciso.

Il Signor Sottosegretario ci ha riferito che la Procura sta procedendo per violazione del segreto istruttorio: ci mancherebbe che non stesse procedendo! Ciò vuol dire, probabilmente, che hanno aperto una cartellina e, nei tempi dovuti, hanno fatto redigere la pagina di qualche atto. Dicendo che si sta procedendo, si intende questo. Stiamo parlando di un diritto costituzionale: mi sembra che sia un po’ poco dire che si sta procedendo e che non si è arrivati a nulla. E pensare che si tratta di fatti interni alla Procura! Se non riesce neanche a indagare efficacemente – anzi, non riesce proprio a indagare – sulle sue carte, come possiamo pensare che sia affidabile quando indaga su cose che sono ben lontane dagli uffici?

Il più volte opportunamente citato articolo 6 della legge n. 140 del 2003 certo risponde all’articolo 68, comma terzo, della Costituzione, ma non lo esaurisce. Non si può dire: visto che c’è questo articolo, allora ce ne possiamo infischiare della Costituzione. Sarebbe come dire che una qualsiasi circolare ministeriale o anche una legge che vieta la discriminazione tra uomo e donna – sul lavoro, nell’ambito statale o in quello privato – esaurisce l’articolo 3 della Costituzione. Se l’articolo 3 tutela contro ogni discriminazione, ci deve essere comunque una tutela più ampia di quella offerta dalla norma che ho utilizzato come esempio.

Lo stesso articolo 6 prevede che i testi delle intercettazioni e le intercettazioni stesse possono essere distrutti anche su istanza del parlamentare. Ma come fa il parlamentare a fare istanza quando, per quattordici mesi, non ha saputo di essere intercettato, non ha saputo che erano in corso queste intercettazioni? Il senatore Guzzanti è stato intercettato fin dal novembre 2005 – e, a quanto pare, le conversazioni sono state ritenute interessanti, tant’è vero che ci si chiede di poterle utilizzare – ma personalmente non è mai stato sentito, neanche dopo la fine di queste intercettazioni.

Questi magistrati che giacciono per mesi nell’inattività totale non hanno sentito Aleksandr Litvinenko e nemmeno l’assai più pericoloso Paolo Guzzanti: non hanno fatto nulla su questo. Possono tenere Mario Scaramella in carcere per 114 giorni – purtroppo, temo che i giorni saranno di più, perché non ho motivi di ritenere che sarà liberato oggi o domani – ma non possono sentire le persone che loro stessi ritengono interessante sentire, ovvero persino il senatore Paolo Guzzanti, e non ritengono interessante sentire nemmeno Aleksandr Litvinenko.

Allora, certo che non emergono, come ha detto il Sottosegretario, gli estremi per un’azione disciplinare: non emergono anche perché non è stata compiuta un’ispezione e non si è approfondito nulla. Da quello che capisco, emergono gli estremi solo se dalla Procura avvertono: «Guardate che stiamo violando la legge e la Costituzione: per favore, fate un’azione disciplinare»!

Se l’articolo 107 della Costituzione affida al Ministro questo potere, il Ministro deve esercitarlo; non può aspettare, per intraprenderla, che gli si pari davanti l’evidenza della violazione della legge da parte di qualche organo della Magistratura. Deve fare qualcosa, deve assumere informazioni, quando è in ballo la Costituzione, la vita di un cittadino e, di conseguenza, la libertà di tutti i cittadini.

Torna in alto