Chiediamoci se le norme, in vigore a volte anche da molto tempo, siano davvero applicate e se ci sia la volontà di applicarle

La stessa norma, in vigore dal 1982, che istituisce la trasparenza dei redditi dei parlamentari esiste anche per i pubblici dirigenti di determinate categorie o uffici, ma i dati non vengono mai pubblicati

Intervento in Aula sulla ratifica di due Convenzioni internazionali in materia di corruzione

Signor Presidente,

l’impegno contro il fenomeno in discussione è importante in quanto la corruzione non soltanto danneggia materialmente la nostra società, dal punto di vista delle spese fatte in più dalla Pubblica Amministrazione a tutti i suoi livelli, ma proprio per il suo aspetto di pessimo esempio morale. Infatti, anziché indirizzare il comportamento verso una maggiore efficienza, dedizione al lavoro e lealtà verso lo Stato e verso il resto della società, incentiva coloro che si comportano in senso contrario. È evidente, perciò, il fenomeno di cattivo esempio dato, ove la corruzione sia presente e soprattutto dove ci sia il convincimento che questa corruzione c’è. Le norme che adottiamo con la ratifica di questa Convenzione sono, quindi, importanti.

Non dimentichiamo però – come spesso sembra di capire ascoltando certe versioni su questo tema – che oggi la corruzione è ampiamente punita: non dobbiamo aspettare convenzioni internazionali o nuove norme per avere leggi che puniscano severamente la corruzione. Vi sono infatti alcune leggi, approvate da tempo, che vengono applicate in modo parziale e vi sono norme in materia, approvate in Senato non molti mesi fa, che sono state trasmesse alla Camera. Dette norme vertono innanzi tutto sulla trasparenza. È evidente, infatti, che maggiore è la trasparenza, minore è la possibilità di effettuare operazioni attraverso la corruzione. Se le spese fatte dalle Pubbliche Amministrazioni sono quantificate e reperibili da tutti coloro che possono avere interesse a conoscerle, appare evidente che sarà sempre più difficile pagare 200 o 500 ciò che ordinariamente può essere comprato a 100. L’aspetto della trasparenza è contenuto in modo ampiamente soddisfacente nelle norme da noi approvate e attualmente all’attenzione dell’altro ramo del Parlamento.

Esistono però anche norme, in vigore da molto tempo e con lo scopo di combattere il fenomeno della corruzione attraverso un altro strumento, che di fatto vengono applicate in modo non efficace. Mi riferisco, in particolare, alla legge n. 441 del 1982, di cui ogni anno vediamo gli effetti per il fatto che i giornali e gli organi di informazione pubblicano periodicamente statistiche sui parlamentari che hanno dichiarato i redditi più alti o patrimoni di una particolare rilevanza. Vengono pubblicate quindi statistiche, classifiche, che destano naturalmente una certa attenzione ma che, quasi sempre, si limitano al folklore – con l’indicazione del tale in possesso di due auto di lusso o del tizio che ha venduto un sottotetto o dell’altro ancora che ha venduto una Cinquecento e comprato un motorino; notizie che difficilmente servono a combattere la corruzione.

Il fatto curioso è che questa stessa norma, in vigore dal 1982, esiste anche per i pubblici dirigenti di determinate categorie o uffici – non tutti (e sotto questo punto di vista ritengo che andrebbe ampliata l’applicazione della norma) – ma, soprattutto, è curioso che, nel caso dei pubblici dirigenti, i dati non vengono mai pubblicati, e chi volesse conoscerli dovrebbe consultare, presso i palazzi della Presidenza del Consiglio, enormi volumi all’interno dei quali sono contenute le relative dichiarazioni.

Il problema è il seguente: queste dichiarazioni dovrebbero servire non a soddisfare certe curiosità, per sapere se quel tale dirigente o parlamentare ha acquistato un’auto o ha venduto un appartamentino, bensì a contrastare il fenomeno dell’illecito arricchimento, che alcuni vorrebbero fosse introdotto addirittura come reato in sé. Tuttavia, poiché non risulta essere stata mai effettuata, neanche a livello giornalistico, una seria indagine su questo punto – vale a dire, partendo da una di queste pubbliche dichiarazioni, chiedersi come mai quel tal soggetto abbia potuto diventare padrone di un patrimonio sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati (anche se si può essere in possesso di un patrimonio per motivi diversi, come eredità o donazioni) – questa norma risulta inefficace.

La trasparenza, dunque – aspetto fondamentale che peraltro non comporta problemi nel senso che non ci sono ostacoli specifici, non andando a invadere la sfera personale e non prevedendo azioni specifiche contro una persona, trattandosi di un servizio generale – se non è accompagnata da un senso critico, da una sensibilità e da un’informazione che vada a porsi delle domande, effettivamente diventa solo uno strumento per soddisfare la curiosità a proposito degli acquisti di immobili o di automobili di questo o di quel personaggio.

Ritengo che, nell’approvare dei provvedimenti che si propongono di lottare contro la corruzione dobbiamo anche chiederci se le norme in vigore, a volte anche da molto tempo, siano davvero applicate e se ci sia la volontà di applicarle. Ho parlato di casi in cui, effettivamente, vengono denunciati patrimoni – che poi sono notoriamente esistenti – in ordine ai quali, a volte, c’è da chiedersi come siano stati accumulati; in altri casi, abbiamo fenomeni – come ho verificato nel consultare le dichiarazioni di quei dirigenti di cui parlavo prima – molto strani: persone che guadagnano parecchie centinaia di migliaia euro all’anno e che dichiarano di non possedere immobili o beni registrati (nessuna automobile, nessuna motocicletta, nessuna imbarcazione) e su cui forse non sarebbe male appuntare la propria attenzione. Non credo che, necessariamente, la corruzione si annidi tra coloro che fanno queste dichiarazioni anomale – probabilmente hanno semplicemente omesso di dichiarare determinati beni e nessuno ha chiesto loro ragione di nulla – ma è chiaro che, se qualcuno lo fa per distrazione, qualcun’altro lo fa invece facendo bene attenzione a non rendere conto di ciò di cui invece la legge, per ottimi motivi, gli chiederebbe di rendere conto.

Vorrei chiudere citando un grande costituzionalista (anche se sicuramente non aveva il titolo di studio per essere così definito) – James Madison, l’autore della Costituzione degli Stati Uniti (naturalmente, insieme ad altri, ma è lui che ha provveduto alla sua redazione vera e propria): «Se gli uomini fossero angeli, non ci sarebbe bisogno di Governi. Se coloro che governano fossero angeli, non ci sarebbe bisogno di equilibrare il loro potere con dei controlli». Potrei aggiungere: se il sistema giudiziario fosse composto da angeli, potremmo affidare tutto a loro e tutto funzionerebbe nel modo migliore; più poteri diamo in questo senso e meglio verrà condotta la lotta contro la corruzione, il crimine e così via.

Ci dobbiamo confrontare con una realtà dove né gli uomini, né i governanti, né coloro che attuano il sistema giudiziario sono angeli e, dunque, dobbiamo attuare un sistema che preveda norme equilibrate, caratterizzate da un bilanciamento dei poteri e di prerogative, che possa raggiungere risultati ragionevoli e per questo efficaci.

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