Con il 25% dei voti, un Partito si prende il 55% dei seggi, la Corte Costituzionale, la Presidenza della Camera e la Presidenza della Repubblica

Intervento in Aula sulla riforma costituzionale

Signora Presidente, la nostra questione pregiudiziale verrà illustrata successivamente, mentre io intendo avanzare un’altra questione. Ci troviamo davanti ad una riforma costituzionale che modifica molti articoli della nostra Costituzione. Una decina di anni fa – mi sembra come se fosse ieri – noi avevamo portato a termine una riforma della Costituzione, con i dovuti passaggi tra Camera e Senato e poi di nuovo alla Camera e di nuovo al Senato (i passaggi furono più numerosi di quattro, perché ci furono delle modifiche). Ricordo che, da quella parte che oggi sta portando avanti questa riforma, venivano continui moniti secondo cui “non si può cambiare la Costituzione a forza di maggioranza” e “non si possono fare forzature”. Quando, dopo settimane di discussione, si cercò di andare verso un’armonizzazione dei tempi che portasse ad una data certa o, comunque, ad una data possibile per il voto, arrivarono le più vibrate proteste che parlavano di coercizione e di tentativo di golpe.

Finito regolarmente questo passaggio, si andò alla campagna referendaria su quella riforma che – se fosse stata approvata – avrebbe già portato, fin dal 2008, alla riduzione di un terzo del numero dei parlamentari, alla specializzazione dei ruoli delle due Camere, ad un accorciamento del famoso meccanismo della navetta e ad una riarmonizzazione delle competenze tra Stato e Regioni. Tuttavia si scatenò, sempre da parte del Partito Democratico (non so se allora si chiamasse già così ma, comunque, quella era la sostanza), una grande campagna contro questa riforma, dicendo che si attribuivano troppi poteri al Presidente del Consiglio, il quale in realtà li vedeva solo lievemente aumentati, perché poteva effettivamente rimuovere i Ministri, ma non aveva in mano lo scioglimento delle Camere e non aveva una legge elettorale con un premio abnorme, che lo potesse garantire anche con una minoranza dei voti. Ebbene, ci fu una grande campagna. In quella campagna referendaria ci fu l’impegno di tutto il Partito Democratico, anche nella Provincia di Firenze. Il Presidente della Provincia Firenze, Matteo Renzi, partecipò e firmò gli appelli il cui primo firmatario era Oscar Luigi Scalfaro, al grido di «Non si cambia la Costituzione! È la Costituzione più bella del mondo e non bisogna cambiarla!». In tutta questa mobilitazione si raccontavano agli Italiani delle frottole, cioè che ci sarebbe stato troppo potere accentrato nelle mani del Presidente del Consiglio – dando per scontato, notate bene, che sarebbe stato Silvio Berlusconi, come se avesse già vinto anche le successive elezioni; dunque si aizzava contro il pericolo del regime.

Ebbene, questa mobilitazione includeva Matteo Renzi e gran parte degli attuali componenti del PD: dico «gran parte» solo perché qualcuno era troppo giovane per partecipare a quella nobile campagna. Oggi, invece, ci viene proposta davvero una situazione in cui viene a cessare ogni possibile contrappeso al volere del Capo del Partito, che, grazie al meccanismo della legge elettorale, prenderà il 55 per cento dei deputati – magari dopo aver preso il 25 per cento dei voti al primo turno. Ricordo che al primo turno l’elettore vota per chi vuole, mentre al secondo turno è costretto a scegliere tra due alternative e, non di rado, farebbe a meno di votare sia per l’uno che per l’altro. Questo Presidente del Consiglio avrebbe in mano il Governo, continuerebbe ad avere il mano lo strumento del decreto-legge – perché le limitazioni qui poste sono assolutamente risibili e sono, peraltro, la semplice costituzionalizzazione di una nota legge, che già dovrebbe essere applicata oggi: sottolineo il verbo «dovrebbe» – avrebbe in mano lo strumento della fiducia in una Camera dominata dal suo Partito, avrebbe in mano tutti gli strumenti di forzatura che sono stati fatti ora, e avrebbe in mano il precedente che si sta creando in questo momento.

Possiamo immaginare un caso, peraltro di scuola, che somiglierebbe più al 25 luglio del 1943 che a una procedura democratica: per quanto fosse importante la situazione bellica dell’Italia, ricordiamo che, formalmente, Mussolini cadde perché, con sua sorpresa, fu il suo Partito a decretarne l’arresto. Questo era però un fatto imprevedibile per lui. Ebbene, ipotizzando in una situazione di questo genere il caso che in una Commissione ci sia una maggioranza difforme da quella che piace al Capo del Governo, si potrebbe tranquillamente fare ciò che stiamo facendo adesso, ovvero saltare l’esame in Commissione. L’attuale riforma costituzionale prevede forse di saltare il passaggio del testo in Commissione? Ho controllato: non è così! Nelle numerosissime modalità di esame delle leggi previste nella riforma – che costituiscono una complicazione spaventosa per la legislazione del futuro, se, per disgrazia del Paese, della democrazia e della libertà dei cittadini, questa riforma passerà – è sempre previsto l’esame Commissione e in Assemblea dei testi di legge, esattamente come nella Costituzione vigente, per come l’hanno voluta i Padri costituenti nel 1947. Se, però, la Costituzione non piace, non la si applica. C’è scritto che è previsto il passaggio in Commissione? Se, però, in Commissione si rischia di non avere la maggioranza, la Costituzione non si applica: qual è il problema? Questa, purtroppo, è la vera riforma che si sta facendo, ovvero la violazione aperta e spudorata della legge. Almeno la si facesse per cambiare la Costituzione e renderla, così, uniforme ai propri voleri! Almeno non si applicasse l’articolo 72, comma 1, al fine di riformarlo, facendo così un piccolo anticipo (sebbene anche in questo caso si tratterebbe di una violazione della Costituzione). In questo caso invece, ipocritamente, si mantiene anche nella Costituzione riformata la medesima procedur, ma già sappiamo che verrà violata anche la nuova forma. Questo è il problema!

Eppure non abbiamo sentito una parola in questo senso dagli esponenti del Governo, sempre molto generosi nelle loro apparizioni su ogni mezzo di informazione. Non abbiamo sentito mai una volta parlare delle continue forzature che vengono fatte e delle leggi portate direttamente in Assemblea: questo è un inedito, perché non si era mai vista una legge arrivare all’esame in Assemblea senza neanche un voto in Commissione e men che meno per una riforma costituzionale. Lo avesse fatto la maggioranza di centrodestra, ci sarebbe stata la rivoluzione, ma semplicemente non si sarebbe fatto, perché – guarda un po’ – noi rispettiamo le regole, anche se magari vogliamo cambiarle. Avremmo voluto, per esempio, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Vogliamo dare tanti poteri all’Esecutivo? Rendiamolo allora responsabile direttamente e non attraverso una Camera che diventerebbe per il 55 per cento il Soviet Supremo, o meglio il Comitato centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, mentre per il restante 45 per cento sarebbe del tutto irrilevante. Infatti, dal momento che quel 55 per cento sarebbe granitico, il restante 45 starebbe lì solo ad esercitare un diritto di tribuna, con la facoltà di parlare, possibilmente poco e possibilmente ignorato dai media, che devono stare dietro ai Ministri e al Presidente del Consiglio che, nell’Unione Sovietica, riveste la carica più importante, quella di segretario del Partito Comunista. Si potrebbe pensare che, a quel punto, il dibattito si sposterebbe all’intero del Partito Comunista – chiedo scusa: all’intero del Partito Democratico in questo caso (all’epoca era il Partito Comunista). Ma non è così, perché anche in questo caso non ci può essere dibattito; tutt’al più un dibattito può esserci, ma a prevalere è poi la maggioranza. Quante volte lo abbiamo sentito dire? All’interno del Partito Democratico, cari colleghi, si discute, ma poi tutti devono adeguarsi alla maggioranza.

Facciamo allora i conti. Un Partito con il 25 per cento dei voti si prende il 55 per cento dei seggi; con quel 55 per cento dei seggi si prende tutto: Corte costituzionale, Presidenza della Repubblica, Presidenza della Camera – con la possibilità di fare tutte le forzature di questo mondo – le Authority e tutto il resto. Questo 55 per cento, però, può essere difficile da controllare; metti il caso che hai sbagliato e che qualcuno di quelli che sono stati candidati pensa con la propria testa? È però sufficiente tenere il controllo di appena il 30 per cento per costringere il restante 25 per cento ad adeguarsi, per le norme interne del partito che abbiamo sentito più e più volte enunciare e che andrebbero applicate in modo particolarmente rigido.

Non dimentichiamo che Matteo Renzi è segretario del Partito Democratico da poco più di due anni, per cui diamogli tempo di avere quell’empowerment – come si usa dire adesso – necessario per esercitare tutta la sua forza all’interno del Partito. Il risultato è che a un Partito votato dal 25 per cento degli elettori – grazie anche alle cose che vedono, gli elettori sono sempre meno per cui, su 100 italiani, vanno a votare in 50 ed il 12,5 vota per un certo Partito – basta avere il 30 per cento e non deve neppure controllarlo tutto, perché è sufficiente che abbia dalla propria parte più della metà perché poi gli altri si devono adeguare. Questa è la democrazia? Questa è una garanzia per i cittadini?

Ho ben capito che, di questi tempi, anche grazie all’influenza di certe campagne mediatiche, la parola “democrazia” è abbastanza desueta; la democrazia viene identificata con i costi e con la corruzione mentre, a quanto pare, quando non c’è democrazia nessuno è corrotto. Questo è un ragionamento un po’ strano, che viene però di fatto supportato da tanti mezzi di informazione e da tanti «produttori di cultura». Il problema, però, è che le norme non saranno scritte dal Parlamento ma esclusivamente – già oggi è in gran parte così – dagli uffici dei Ministeri, e dentro ci metteranno qualunque porcheria come già stanno facendo di questi tempi, senza che il Parlamento possa intervenire. Questo perché ci sarà un solo passaggio – altro che navetta; magari di fretta, magari con la fiducia e senza passare in Commissione, perché nulla lo impedisce visto che è già stato fatto a Costituzione vigente, per cui, a maggior ragione, lo si farà dopo e la cosa funzionerà così. I funzionari dei Ministeri – ovviamente, chi sarà al comando avrà modo di impartire le sue direttive senza consultare i parlamentari:  sotto la direttiva del Presidente del Consiglio, segretario del Partito, scriveranno una norma che, se discussa, non verrà votata in Commissione, mentre in Aula verrà posta la fiducia e sarà finita così. Dove finisce il ruolo del Parlamento? Diventa una cosa inutile.

Oggi Renzi ha fatto filtrare la voce, che immagino sia autentica, che si potrebbe abolire il Senato. Per me – parlo a titolo personale – sarebbe molto meglio l’abolizione del Senato che questa roba che viene presentata. In questo modo ci sarebbe, infatti, la possibilità per chi vince le elezioni alla Camera – sempre che le elezioni si facciano ancora – di governare, mentre invece, ove vincesse qualcuno che non ha la maggioranza al Senato, avrebbe difficoltà. Ebbene, credo che il passaggio successivo sarà l’abolizione della Camera o forse si potrebbe saltare completamente la discussione in quella sede, per cui niente voto in Commissione, Aula e quindi fiducia. Ecco perché c’è bisogno di 630 deputati. Mi pare che nel Soviet Supremo fossero 2.200 – tanto, non contavano assolutamente nulla. Più sono, meno c’è spazio, perché magari qualcuno possa farci strada e diventare un punto di riferimento credibile.

Questo è il futuro che si prospetta con questo disegno di legge. Ecco perché le chiedo, diversamente da quello che dice il dispositivo che abbiamo nel testo scritto, la posposizione della discussione di questo provvedimento in modo da poterlo affrontare in Commissione, applicando l’articolo 72, primo comma, della Costituzione.

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