Con un solo comma, il Governo non solo fa una sanatoria nei confronti di persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio, ma viola anche una Convenzione ratificata dal nostro Paese nel 1975

Mentre si spalancano le porte agli immigrati “purché non abbiano un lavoro”, si cancella un intero provvedimento giudiziario e si apre la strada alla discriminazione per motivi razziali o religiosi, in violazione di un Trattato internazionale del quale l’Italia è firmataria

Intervento in Aula nella discussione della questione fiducia sul decreto-legge concernente l’allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza

Signor Presidente,

ho ascoltato l’intervento del senatore Palma e degli altri Colleghi intervenuti prima di lui. Vorrei aggiungere un elemento specifico, contenuto in questo maxiemendamento.

È già stato abbondantemente detto come questo decreto sia totalmente inefficace per ciò che dovrebbe essere il suo scopo principale, cioè l’allontanamento dall’Italia di persone pericolose all’ordine pubblico e alla sicurezza dei cittadini.

Su questo aspetto, esso è totalmente inefficace per i motivi illustrati. Si tratta di espulsioni che non sarà possibile attuare perché sottoposti a tali e tanti vincoli, freni, possibilità di ricorso che semplicemente non avranno luogo. Se avranno luogo, lo faranno in maniera così scarsa da essere pressoché ininfluenti sugli effetti che invece dovrebbe dare.

Come se non bastasse, nel maxiemendamento è stato disposto che sono spostate al giudice ordinario le procedure di espulsione della cosiddetta legge Bossi-Fini, approvata durante il Governo Berlusconi, che – secondo la legge vigente – oggi spettano ai giudici di pace. Questo vuol dire che verrà lasciato molto più tempo, a coloro che dovrebbero essere oggetto di espulsione, per restare nel nostro Paese.

Contemporaneamente, alla Camera si manda avanti il disegno di legge Amato-Ferrero che spalanca le porte del nostro Paese ad un’immigrazione totalmente incontrollata. Un eventuale controllo non potrà che riscontrare che, chiunque entra nel nostro Paese, lo fa in virtù di una delle tante formule che lo consentono, direi, quasi purché non abbiano un rapporto di lavoro. Si potrà quindi venire nel nostro Paese per cercare un lavoro (dunque non ce l’hanno); restare nel nostro Paese dopo che il rapporto di lavoro è terminato; mostrare anche con una certa facilità, senza che ci sia la sostanza, di avere risorse economiche sufficienti per stare nel nostro Paese e così via.

Mentre si interviene in questo modo, andando in direzione opposta a quello che la situazione della pubblica sicurezza richiederebbe, con un bel comma di questo maxiemendamento sul quale il Governo ha posto la fiducia (togliendo ogni possibilità di reale dibattito), su un punto che non è mai stato sollevato prima durante la discussione, viene inserita una norma di cui diversi Colleghi hanno parlato.

Vorrei soffermarmi su un aspetto particolare: tra le forme di discriminazione che vengono proibite dalla legge sono state inserire quelle relative alle tendenze sessuali con le conseguenze che abbiamo visto. Si tratta, infatti, di punire l’incitamento o la pratica di forme di discriminazione per quanto riguarda la tendenza sessuale. Si è parlato dunque del fatto che rischia di diventare un reato, punibile anche severamente, affermare che non è opportuno dare bambini in adozione o in affidamento a coppie composte da persone dello stesso sesso e così via. Contemporaneamente, però, si elimina una parte dell’articolo 3 della legge n. 654 del 1975, che punisce anche la propaganda di idee fondate sulla discriminazione sessuale e sull’odio razziale. Ricordo che questa legge n. 654 del 1975 non è un provvedimento qualsiasi, ma costituisce il recepimento da parte della Repubblica italiana della Convenzione di New York del 7 marzo 1966 contro ogni discriminazione. Questa Convenzione è stata ratificata dall’Italia; dunque l’Italia è uno dei Paesi che l’hanno sottoscritta; per tale ragione, in adempimento a tale firma, fu approvata nel 1975 questa legge. La Convenzione precisa in modo molto chiaro che gli Stati contraenti, dunque anche l’Italia, puniscono la diffusione – per l’appunto – di idee basate sulla discriminazione e sull’odio razziale. Questa parte, la propaganda di idee di questo genere, viene cancellata perché resta soltanto l’incitamento a praticare la discriminazione, che è cosa diversa. La differenza sembra sottile, ma abbiamo, guarda caso, un ambito dove questa è evidente: quello delle aule giudiziarie.

Nell’agosto dell’anno scorso, l’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), organizzazione che vanta di controllare (già la parola non è particolarmente rassicurante) l’85 per cento dei centri islamici (ritengo che, grazie al cielo, sia un vanto che va ben al di là della realtà, perché la maggior parte degli islamici del nostro Paese non condivide le impostazioni ideologiche e anche le parentele ideologiche e organizzative dell’UCOII con i Fratelli Musulmani – tanto per fare un piccolissimo esempio, sono quelli che assassinarono Anwar el Sadat nel 1981), pubblicò un annuncio su alcuni quotidiani italiani in cui si equiparavano le “stragi israeliane” (così da loro denominate) con le stragi naziste della Seconda guerra mondiale: Boves, Marzabotto e così via.

Con il collega Stracquadanio, presentai un esposto alla Procura, ritenendo che ci potesse essere, per l’appunto, una violazione dell’articolo 3 della legge n. 654 del 1975, attuativo della Convenzione contro la discriminazione del 1966. Dopo quindici mesi, con una rapidità non particolarmente impressionante, la Procura della Repubblica di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dei dirigenti dell’UCOII, precisamente per questo reato. Guarda caso, il 30 novembre, cioè sei giorni fa, con grande tempismo ci viene presentato un emendamento che va a cambiare il primo comma di questo articolo 3 della legge n. 654, che potrebbe essere approvato grazie alla fiducia che è stata posta in quest’Aula e che, temo, sarà votata da molti che non condividono né il provvedimento, né l’emendamento, tantomeno questa parte, facendosi scudo della fiducia.

È stato anche teorizzato in dichiarazioni pubbliche, da un autorevole esponente di quest’Aula, che, nel caso venga posta la fiducia, cessa la responsabilità morale quando si vota un provvedimento; lo si è detto a proposito di una missione all’estero per la quale, pur evidenziando la propria estraneità con la stessa, si è detto che questa era stata votata perché era stata posta la fiducia. Cioè, la fiducia è una sorta di diaframma della responsabilità, diaframma della coscienza: si vota, però non si è d’accordo. Invece si è d’accordo, non soltanto a votare quel provvedimento ma anche a dare la fiducia a un Governo.

Direi che ci sono due responsabilità, a mio parere una più grave dell’altra. Certamente è un dovere sostenere lealmente il Governo per chi con lo stesso si è impegnato fin dalle elezioni, ma non si può sostenere questa parte specifica del provvedimento: la coscienza non può essere messa a tacere solo per il fatto che il Ministro Chiti viene qui e pone la questione di fiducia.

Con questa legge, così come delineato dal maxiemendamento presentato dal Governo, questo provvedimento giudiziario viene semplicemente cancellato perché viene a cessare quel reato per il quale sei giorni fa c’è stata una richiesta di rinvio a giudizio. Questo direi che dovrebbe già bastare a qualificare l’emendamento.

Aggiungo che quella parte, proprio quella parte dell’articolo 3 della legge n. 654 del 1975, non è in sovrappiù rispetto alla ratifica della Convenzione di New York, ma è il recepimento di un punto preciso della Convenzione che, appunto, impegna gli Stati membri a punire la propaganda di idee basate sulla discriminazione e sull’odio razziale.

Pertanto, non soltanto facciamo una sanatoria nei confronti di persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per una questione molto grave ma, per far questo, violiamo una Convenzione contro la discriminazione ratificata dal nostro Paese e messa in atto nella nostra legislazione da una legge del 1975.

Mi complimento, quindi, con chi ha avuto questa idea così geniale, ma spero veramente che chi si accingerà a votare la fiducia non guardi soltanto alla richiesta, che è stata avanzata, di “disciplina di Maggioranza” ma alla propria coscienza e alle gravi conseguenze che un atto di questo genere potrebbe avere nella vita del nostro Paese.

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