Decreto “milleproroghe”: dobbiamo superare la gestione di ciò che è ordinario con strumenti d’emergenza e la creazione di situazioni che da provvisorie diventano definitive

Se l’emergenza diventa ordinaria, dobbiamo trattarla con gli strumenti ordinari. Se gli strumenti ordinari non funzionano, dobbiamo riformarli

Intervento in Aula nella discussione del decreto proroga termini

Signora Presidente,

come è stato più volte detto, la situazione ideale sarebbe che uno strumento come il decreto milleproroghe non dovesse essere mai necessario perché è una cartina al tornasole di inefficienze di vario tipo – principalmente, della burocrazia dello Stato che non riesce a completare determinate procedure di riforma; procedure ambiziose (forse troppo), non sempre disegnate perfettamente, che presumono di realizzare cambiamenti risolutivi e radicali quando non ci sono gli strumenti e, a volte, forse neanche la volontà.

Interviene allora il decreto proroghe, scritto di solito dagli stessi funzionari che non sono stati in grado di mettere in atto quelle riforme secondo la volontà, almeno formalmente, del Parlamento che, per l’appunto, proroga determinate scadenze. Spesso si tratta di proroga di termini già prorogati in passato. Questo aspetto evidenzia l’inefficienza di determinate strutture burocratiche che offrono grande resistenza al cambiamento, essendo molto più facile andare avanti come si è sempre andati: a volte tutelano determinati interessi, a volte è semplice inefficienza, altre ancora è impossibilità di realizzare determinate cose, perché non basta scrivere un proposito sulla Gazzetta Ufficiale attraverso l’approvazione di una legge o di un decreto perché esso diventi possibile o addirittura desiderabile.

Un altro aspetto che si riscontra molto spesso nei decreti milleproroghe è, appunto, la proroga della data di efficacia, vale a dire il ritardare l’inizio dell’operatività di una norma che fin dall’inizio appare poco sensata, una norma fatta “per dare un segnale”. In sostanza, “per dare un segnale” a un determinato settore si fa una bella norma – a volte velleitaria, a volte semplicemente dannosa, il più delle volte burocratica in se stessa e finalizzata a tutelare varie esigenze (dalla salute alla lotta al crimine e alla corruzione) – quindi si approva una norma perfettamente inutile che aggiunge carte a carte; spesso, poi, c’è il buon senso di ritardarne l’entrata in vigore – o meglio, in termini tecnici, l’efficacia. L’ideale sarebbe abrogare la norma se è sbagliata ma, visto che la norma è stata fatta “per dare un segnale”, abrogarla vorrebbe dire dare un segnale opposto a quello che si intendeva dare; e quindi si lascia in vita la norma, ma si cerca di farla entrare in vigore il più tardi possibile – ad esempio nel 2012; poi, in prossimità della scadenza, si sposta al 2013, poi al 2014 e così via. L’ideale – ciò che dovremmo fare – sarebbe non dare segnali ma fare le cose che servono. Serve una norma? Dovremmo approvarla; ma deve servire sul serio, non solo per riempire un titolo, magari per avere un bel decreto o una legge con il nome di un importante esponente politico – tante volte un Ministro, che così ha la legge con il suo nome: “la legge Tizio risolutiva” – peccato che sia impossibile o inutile o dannosa, e allora se ne ritarda l’entrata in vigore.

Vi è poi un altro caso – che, invece, è positivo – quando una legge prevista per un periodo breve, magari sulla spinta di un’esigenza momentanea, si rivela un’esperienza positiva e, allora, si ritiene giustamente di prorogarne l’efficacia: per esempio, una legge che ha funzionato negli scorsi due anni vogliamo che abbia effetti anche nel 2014, per cui viene inserita nel decreto proroghe. Naturalmente, l’ideale sarebbe fare fin dall’inizio una legge a lungo termine, ma trovo che non ci sia nulla di scandaloso invece nell’avere periodi di sperimentazione dopo i quali si rileva se una norma funziona.

Un’altra delle cause che rimpinguano i decreti milleproroghe è la cultura dell’emergenza, che nel nostro Paese ha radici molto antiche, per cui le situazioni concrete che si vengono a determinare non possono quasi mai essere risolte, per definizione, con gli strumenti che già esistono. C’è un caso particolare? Abbiamo ogni sorta di struttura, di dipartimenti, di agenzie; abbiamo gli enti territoriali, a loro volta con le loro agenzie, le loro partecipate e così via. Però, se capita un evento davvero importante, bisogna nominare il commissario o creare una struttura nuova; evidentemente, le vecchie strutture non funzionano. Siccome c’è l’emergenza, a questo commissario vengono assegnati poteri particolari, spesso esagerati, a volte contrari ai principi costituzionali e che, il più delle volte, svuotano gli organismi elettivi. Ma – si dice – è un’emergenza, lo facciamo solo per tre mesi perché c’è stato il terremoto, magari una nave da crociera si è incagliata davanti a una nostra bella isola, c’è stato un maltempo inaspettato – perché è del tutto inaspettato che ogni tanto nevichi magari più del solito, che ogni tanto piova meno del solito! È una cosa del tutto inaspettata, e allora si approvano provvedimenti provvisori solo per tre mesi; poi i tre mesi diventano sei, i sei diventano un anno, due anni o quattro anni.

Una delle norme più illeggibili di questo decreto – nel senso che proprio è difficilissimo capire dove va a parare – prevede la proroga addirittura a quattro anni di una situazione di emergenza assoluta riguardante le acque superficiali di una bella Regione del nostro Paese: un’emergenza tanto assoluta che nella norma originaria c’era addirittura l’espresso divieto di proroga. Pertanto, questa disciplina veniva stabilita in sei mesi con espresso divieto di proroga: da sei mesi poi si è passati ad un anno, da un anno si è passati a tre e adesso, con questo provvedimento, si passa a quattro o a cinque – non ricordo bene. Naturalmente, però, in questi casi bisogna scrivere «in deroga al comma» dove era previsto il divieto di proroga. Pertanto, la data 2012 diventa 2016 e, in più, bisogna precisare che si deve derogare al comma dov’era previsto il divieto di proroga.

Un grande Padre della democrazia si rifiutò di accettare la logica dell’emergenza: era il Governatore della Virginia nel momento in cui, nel 1812, vi era la guerra tra i neo-nati Stati Uniti d’America, sorti da una quarantina d’anni, e l’Inghilterra, dopo la guerra d’indipendenza. Gli proposero di approvare delle leggi di emergenza, perché – si diceva – c’era la guerra e allora non si poteva governare la Virginia come se fosse un periodo di pace. Lui si rifiutò dicendo che, se nei periodi difficili bisogna venir meno ai principi della Costituzione di quello Stato, vuol dire ammettere che le strutture democratiche e costituzionali non funzionano.

Credo dovremmo ricordare questa grande lezione di Thomas Jefferson, allora Governatore della Virginia, che non a caso volle ricordare questo suo ruolo e non quello di essere stato successivamente Presidente degli Stati Uniti o di aver scritto la Dichiarazione d’indipendenza. Se davvero crediamo nella democrazia – alla quale, soprattutto di questi tempi, molto spesso l’attaccamento viene meno – dobbiamo tener presente che l’emergenza è semplicemente l’ordinario. Infatti, visto che ogni anno abbiamo così tante proroghe – si dice mille, forse saranno 200-300 – per altrettante emergenze, allora non c’è nessuna emergenza: vuol dire che questo è l’ordinario.

Se l’emergenza diventa ordinaria, dobbiamo trattarla con gli strumenti ordinari. Se gli strumenti ordinari non funzionano, dobbiamo riformarli. Ma dobbiamo riuscire a superare questa fase di gestione di ciò che in realtà è ordinario con strumenti d’emergenza, anche perché questi permettono di dar luogo ad abusi e a situazioni che da provvisorie diventano definitive, che non rispettano le leggi e le norme, non danno trasparenza come molte norme mute che fanno riferimento ad altre norme mute, e procedere con una prospettiva migliore.

Credo che ai Cittadini queste cose si possano dire. Si può dire che si sbaglia, e allora si fanno delle correzioni. Si possono fare le cose reali e non “dare il segnale”: si possono fare le cose che servono e non le cose che si pensa che i Cittadini stupidi apprezzino. I Cittadini apprezzano i risultati concreti, non i segnali. Se andiamo avanti in una direzione di questo genere, potremo un giorno fare a meno del decreto milleproroghe e fare riforme vere che servono al Paese in modo stabile.

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