Dl infrastrutture: Malan (FDI), con fiducia nuovo sfregio al Parlamento introduce ambiguamente identità genere

Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, il quale sicuramente è degnamente rappresentato, ma visto che un Ministro viene a mettere la fiducia, forse se ascoltasse anche quello che dice il Senato, visto che il Senato è privato di qualunque possibilità di intervenire, non sarebbe male. (Applausi).

Il 23 luglio scorso, non molto tempo fa, tre mesi fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scritto una lettera – è una facoltà prevista dalla Costituzione – ai Presidenti della Camera e del Senato a proposito della decretazione d’urgenza.

In quella lettera si citava il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, che ha invitato il legislatore a evitare la commistione e la sovrapposizione nello stesso atto normativo di oggetti e finalità eterogenei.

Il Capo dello Stato ricordava – anzi, ricorda, perché dovrebbe essere attuale; dovrebbe essere un messaggio rivolto ogni giorno al Parlamento e al Governo – che i decreti-legge devono presentare ab origine un oggetto il più possibile definito e circoscritto per materia; nei casi in cui l’omogeneità è perseguita attraverso l’indicazione di uno scopo deve evitarsi che la finalità risulti estremamente ampia. Il Capo dello Stato prosegue osservando che: nella procedura di conversione l’attività emendativa dovrà essere limitata dalla materia ovvero dalla finalità originariamente oggetto del provvedimento, come definite dal Governo. Ricorda infine, insieme a molte altre osservazioni che non possiamo certamente leggere tutte qui, che con la sentenza n. 32 del 2014, la Corte costituzionale, dichiarando illegittime alcune norme introdotte in sede di conversione di un decreto-legge, ha sottolineato che la legge di conversione segue un iter che si giustifica alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge, e che dalla sua connotazione derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge; la legge di conversione non può quindi aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore. Questo il messaggio del Presidente della Repubblica che tutta la maggioranza e naturalmente anche noi rispettiamo profondamente, ma la maggioranza di solito è particolarmente accorata nelle sue professioni di assoluta adesione alle parole del Presidente della Repubblica. Eppure, oggi ci ritroviamo con un decreto-legge, peraltro assai corposo – un fascicolo di centinaia di pagine – che parla di misure urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale e in questo disegno di legge sulla sicurezza delle infrastrutture viene inserita una norma ideologica volta a limitare la libertà di espressione, con il pretesto che tale limitazione viene esercitata sulle strade e sui veicoli. Si tratta di una misura assolutamente inaccettabile, introdotta a tradimento e di soppiatto, tanto è vero che gli stessi proponenti dell’emendamento presentato alla Camera dei deputati (le Presidenti delle Commissioni ambiente e trasporti), entrambe del Partito Democratico, non hanno neppure illustrato il provvedimento, salvo cambiarlo per peggiorarlo nel corso del suo esame.

Questa incredibile limitazione alla libertà di espressione è pericolosissima perché lasciata, per un verso, all’interpretazione, e per un altro, alla censura preventiva che faranno tutti i concessionari di pubblicità che, per evitare problemi, saranno ancora più severi di quanto lo sarebbe un giudice o qualunque autorità deputata a pronunciarsi su cos’è una pubblicità sessista o su cosa, in un contenuto pubblicitario, potrebbe offendere qualcuno nel suo credo religioso (ad esempio, esprimendo convinzioni di un altro credo religioso), oppure su cosa può offendere qualcuno rispetto all’identità di genere. Un concetto, quest’ultimo, ampiamente criticato quando inserito nel disegno di legge Zan, anche da parte di chi sosteneva il resto di quel provvedimento (che noi non abbiamo sostenuto). Ebbene, l’emendamento è stato inserito in un provvedimento che nulla ha a che fare con questo; è stato approvato in Commissione alla Camera e poi è intervenuta l’immancabile fiducia. Ciò è particolarmente grave visto che la Camera è l’unico Ramo dove si è potuto realmente discutere il provvedimento, dal momento che qui ci è arrivato – come si suol dire – blindato; quindi, si è impedita la discussione in Aula.

Al Senato partivamo dal presupposto che ci fosse una inemendabilità perché mancano pochi giorni; in realtà, si potrebbero esaminare gli emendamenti; il decreto-legge scade martedì prossimo, ci sono ben cinque giorni per un ulteriore passaggio alla Camera per eliminare questo obbrobrio, questo abuso, questa beffa alla volontà del Senato, e in particolare dei 154 senatori che, una settimana fa, hanno votato per non proseguire l’esame del disegno di legge Zan.

Di quei 154 senatori, però, 133 fanno parte della maggioranza: 21 eravamo noi senatori di Fratelli d’Italia, ma gli altri 133, ripeto, fanno parte della maggioranza e, con questa ignobile apposizione della questione di fiducia, saranno obbligati a votare favorevolmente. In realtà non c’è nessun obbligo, non succede nulla, si può anche votare contro, però è chiaro che è un atto particolarmente impegnativo non votare la fiducia al Governo sostenuto dalla maggioranza di cui si fa parte, con rappresentanza nell’Esecutivo e nei lavori parlamentari.

Ebbene, con la fiducia si vogliono costringere 133 parlamentari di molti Gruppi politici a votare a favore. Non è soltanto il centro-destra, infatti, che ha votato per interrompere l’esame del disegno di legge Zan, come chiaramente dicono i numeri. Ci sono stati almeno 20 senatori anche del centro-sinistra che hanno votato in questo senso: Partito Democratico, Italia Viva, MoVimento 5 Stelle, Per le Autonomie, non lo sappiamo, ma almeno 20 ci sono stati. (Applausi). È dunque una beffa anche per loro, uno sfregio a loro e al popolo che essi, come tutti noi, rappresentano.

Quando si prendono queste decisioni, è incivile farle passare e contrabbandarle poi come grandi decisioni di civiltà. Se si hanno questi convincimenti, bisogna farli passare a viso aperto e non chiudere la bocca ancora una volta a tutti i senatori, in particolare a quelli della maggioranza.

Come Gruppo Fratelli d’Italia, infatti, noi parliamo lo stesso, esercitando un’operazione patriottica e responsabile e possiamo dire la verità. Purtroppo nell’ambito della maggioranza, invece, c’è questo vincolo, c’è questa difficoltà. Tuttavia, tappare ancora la bocca in questo modo è una cosa veramente indegna: ripeto, è uno sfregio al ruolo del Parlamento e alla Costituzione che affida al Parlamento il compito di fare leggi e non di fare giusto da passacarte al Governo che adotta i decreti-legge e fa inserire poi da suoi parlamentari delle norme che nulla c’entrano, ponendo infine la questione di fiducia, sia alla Camera che al Senato, per cui in pratica tutto è stato deciso dalla cinquantina di parlamentari della Commissione della Camera e per il resto non è stato più possibile fare assolutamente nulla.

Come hanno detto i colleghi che sono intervenuti – la senatrice Drago e i senatori Zaffini e De Bertoldi – c’è qui un complesso di cose che vanno tutte nella stessa direzione: schiacciare e comprimere i diritti del Parlamento e dei lavoratori, con l’aggiramento, com’è stato detto da altri, dell’articolo 2112 del codice civile, che garantisce i lavoratori nel caso di trasferimento d’azienda, è una cosa gravissima.

Per curiosità, essendo un filologo d’origine, sono andato a vedere quando è stato approvato l’articolo 2112 del codice civile, che è molto moderno: si parla di trasferimento di azienda, per cui ero convinto che fosse recente. È stato approvato nel 1942: in pratica è rimasto invariato, salvo una piccola modifica di carattere tecnico nel 1990. Oggi il Governo lo cancella, danneggiando i diritti dei lavoratori di Alitalia, e un domani chissà di quante altre aziende, con un provvedimento d’urgenza su cui il Parlamento non può discutere. Seguono i sindacalisti con il foglio di via, che non possono entrare a Roma, pur avendo intenzioni del tutto pacifiche; seguono le manifestazioni vietate, spostate e deviate lontanissimo dal palazzo del Governo, che non deve avere il disturbo di chi reclama e chiede il rispetto dei propri diritti di cittadino e di lavoratore. (Applausi).

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