È dovere di tutti i Paesi che sottoscrissero la Dichiarazione impegnarsi ogni giorno per promuovere e difendere i diritti umani, al proprio interno e a livello internazionale

Intervento in Aula in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo

Signor Presidente,

leggendo la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 60 anni fa, si sarebbe potuto pensare che quel giorno segnasse l’inizio della sua applicazione e che coloro che avevano voltato la dichiarazione applicassero quei diritti nei rispettivi Paesi. Evidentemente, questo non accadde.

Quel giorno segnò non la fine di un percorso ma l’inizio, e lo segnò in modo estremamente positivo, perché individuò il punto focale dal quale derivano la necessità e il convincimento di applicare i diritti umani, e cioè il riconoscimento della piena dignità e del valore assoluto dell’individuo. È un fatto assai significativo perché ciò è avvenuto a metà del secolo scorso, un secolo nel quale ideologie che negavano la dignità dell’individuo, proprio per questo, hanno originato le peggiori mostruosità compiute nei confronti di intere popolazioni, di intere categorie sociali, di milioni e milioni di persone che sono state uccise, private dei loro diritti e della loro libertà.

Dal 1948 il percorso è stato certamente difficile ma, se dobbiamo fare un bilancio, credo che possiamo dire che si è andati avanti piuttosto che indietro. Molti Paesi che sono stati atroci dittature sono diventati democrazie; altri Paesi hanno conquistato la loro indipendenza, spesso – ahimè, soltanto spesso e non sempre – garantendo questi diritti ai loro cittadini. Certamente, però, molti sono stati i Paesi in cui questi diritti sono stati brutalmente negati.

Pertanto, è dovere di tutti i Paesi che sottoscrissero quella dichiarazione impegnarsi ogni giorno per far progredire i diritti umani, a cominciare naturalmente dal proprio interno ma promuovendoli a livello internazionale. Questa promozione incontra spesso degli ostacoli, che a volte sono di carattere ideologico (dei quali abbiamo anche sentito qualche eco in quest’Aula), che fanno citare per esempio le gravi difficoltà che incontrano gli immigrati che vengono nel nostro Paese e magari ignorare fenomeni immensi come quelli che avvengono in Cina, dove – altro che le difficoltà che incontrano i nostri immigrati! – gli stessi cittadini di quel Paese sono ogni giorno privati in modo radicale della loro libertà.

Le difficoltà sono anche di altro genere. I Governi, naturalmente, devono trattare con tutti i Paesi, e hanno il dovere di trattare anche con quelli che negano i diritti umani. In questo quadro, i Parlamenti svolgono una funzione molto importante, perché non hanno questa relazione diretta con gli altri Paesi e, se ce l’hanno, ce l’hanno attraverso organismi interparlamentari nei quali è possibile dire quello che per un Governo diventa più difficile.

In questo ambito, il Gruppo del Popolo della Libertà, nei pochi mesi di legislatura, ha svolto diverse attività importanti. Abbiamo presentato, con prima firma del presidente Gasparri ma a nome di tutto il Gruppo, la mozione 1-00030 sui diritti umani in Cina e in Tibet e la mozione 1-00046 contro le persecuzioni dei Cristiani e la negazione della loro libertà; ricordiamo che la libertà religiosa è una delle principali libertà che vengono garantite dalla Dichiarazione universale.

Su questo percorso intendiamo proseguire e ribadire il nostro impegno, convinti che i diritti umani sono una garanzia nei confronti di quei rapporti economici che, a volte, rendono timidi gli organismi governativi nelle relazioni internazionali. Siamo convinti che il rispetto dei diritti umani, il rispetto dei diritti dell’individuo sia anche una garanzia di progresso economico, una garanzia rispetto alle relazioni economiche e commerciali fra i Paesi.

Il Gruppo del Popolo della Libertà continuerà su questo percorso con un impegno quotidiano, con la presentazione di documenti e con un’attenzione continua al riconoscimento dei diritti umani in Italia e, soprattutto, nei tanti Paesi del mondo in cui essi sono brutalmente negati.

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