Evangelici.net: “Malan, il bilancio di una legislatura”

Il senatore evangelico traccia un bilancio della legislatura che si chiude. Cinque anni tra libertà religiosa e valori, scandali e antipolitica, con una bussola: «A prevalere deve essere il senso del dovere»

È stato uno dei parlamentari più presenti e attivi nella legislatura che si conclude e, con ogni probabilità, a partire da marzo presidierà di nuovo il Senato: Lucio Malan (PdL) al momento vive intensamente la campagna elettorale in corso tra incontri pubblici e comizi, ma ha accettato volentieri di tracciare insieme a evangelici.net un bilancio della XVI legislatura in relazione alla libertà religiosa, ai valori cristiani, alla coerenza etica delle istituzioni. Incontriamo Malan a Torino, a margine di una convention politica che si conclude con il consueto, accorato richiamo alla libertà: ed è proprio dalla libertà che cominciamo il nostro colloquio con il senatore.

La legislatura appena conclusa ha visto la stipula di tre nuove Intese, tra cui quella con la chiesa apostolica. Ormai, a forza di rinvii, sembrava un miraggio.

“L’approvazione delle nuove Intese, e la revisione di due Intese già esistenti, è stato un impegno specifico che ha comportato una fatica notevole per superare resistenze non evidenti ma comunque ben presenti. Personalmente mi ci sono impegnato in prima persona con un lavoro che ha portato, alla fine, all’approvazione all’unanimità, anche da parte delle forze più restie: ed è stato un passo avanti importante, perché il riconoscimento – al di là delle convinzioni personali sulle varie realtà religiose coinvolte – resta una questione di libertà”.

Nonostante l’allargamento delle realtà interessate, la questione delle Intese è ancora un capitolo che riguarda una parte limitata dei culti acattolici…

“Ne sono consapevole, e infatti non intendo fermarmi qui: nella prossima legislatura l’obiettivo è tornare alla definizione di una legge sulla libertà religiosa, che superi finalmente la normativa sui culti ammessi del 1929”.

Nel corso dell’ultima legislatura sono emerse alcune problematiche che hanno coinvolto, loro malgrado, anche diverse comunità evangeliche. Impensierisce, in primo luogo, il parere del Consiglio di Stato al Ministero dell’Interno, che condiziona il riconoscimento di un ministro di culto a un numero minimo di membri di chiesa.

“Vero: naturalmente, di fronte al proliferare di richieste è necessario stabilire qualche regola, ma fissare un criterio numerico, per giunta così elevato – si parla di almeno 500 membri per comunità – è inaccettabile. Oltretutto bisognerebbe chiarire un aspetto: se il Ministero dell’Interno intende ricavarsi in merito un ruolo esclusivamente notarile, chiedendo un parere ad altre Istituzioni e applicando quozienti numerici standard, la sua utilità diventa dubbia. Il Ministero ha un senso se, per concedere o meno un riconoscimento, valuta le situazioni in termini di opportunità, caso per caso”.

C’è poi la famigerata legge regionale lombarda 12/2005, che sembra nascere per evitare la moltiplicazione incontrollata dei luoghi di culto islamici sul territorio, ma che si paventa possa diventare uno strumento arbitrario per limitare l’attività di comunità cristiane: una situazione piuttosto ingarbugliata cui lei si è interessato.

“Tutto il discorso della libertà di culto va inquadrato nel rispetto dei diritti che la stessa Costituzione riconosce. Questi diritti vanno oltre la legge del ’29, ma anche oltre la legge regionale lombarda in questione, in base alla quale alcune amministrazioni comunali hanno chiuso arbitrariamente alcune sale di culto evangeliche: come ho suggerito alle realtà direttamente coinvolte, il passo da compiere è un ricorso al TAR attraverso il quale interessare della questione la Corte costituzionale, che – una volta investita del caso – non potrebbe non riconoscere l’incostituzionalità della legge stessa. Mi rendo conto che le chiese interessate hanno timore di adire le vie legali per timore di costi e tempi, ma è un passo necessario al quale mi sono detto disponibile a contribuire finanziariamente in prima persona”.

Al di là del ricorso al Tar e dell’appartenenza a una realtà religiosa minoritaria, la legge lombarda lascia perplessi…

“Decisamente: la legge lombarda impone, di fatto, un trattamento peggiorativo nei confronti delle comunità religiose rispetto ad altre realtà associative: una situazione che il prossimo Consiglio regionale dovrebbe sanare cancellando quella norma. Finché questo non accade, chi subisce abusi dovrebbe segnalarlo in modo chiaro, per esempio attraverso evangelici.net, che io stesso uso costantemente per tenermi aggiornato sulla situazione del mondo evangelico.

Resta da fare tuttavia un distinguo che mi pare doveroso”.

Prego.

“Possiamo discutere e contestare – civilmente, beninteso – una legge imbarazzante; al di là di queste vicende e degli eventuali abusi nella applicazione delle leggi, però, noi cristiani dovremmo essere i primi a dimostrare rispetto per le regole. Intendo dire che non dobbiamo sentirci autorizzati ad aprire un locale di culto – solo perché adibito al culto e quindi a un’attività che merita tutela – in barba alle leggi che regolano le condizioni igieniche, le norme di sicurezza, il vivere civile e il rispetto per il prossimo. Se siamo noi i primi a trasgredirle palesemente, la nostra testimonianza cristiana viene compromessa agli occhi delle autorità e di chi ci sta attorno”.

La legislatura che si sta concludendo ha visto un impegno notevole, da parte italiana, nella difesa dei Cristiani perseguitati.

“Sì, l’impegno dell’Italia nel mondo, per la tutela della libertà religiosa, è cresciuto: sia Frattini, sia il suo successore, Terzi, si sono mossi ed espressi chiaramente impegnando il nostro Paese sia in forma diretta, sia per spingere l’UE, che in merito è sempre piuttosto refrattaria all’azione, e che invece sul tema potrebbe svolgere un ruolo importantissimo.

Da parte mia ho proposto e visto approvare un disegno di legge a favore di limitazioni commerciali nei confronti i Paesi che perseguitano i cristiani, ma ovviamente non basta: il problema è complesso, e va affrontato a livello mondiale.

A onor del vero, va anche detto che, negli ultimi anni, il mondo politico sembra aver preso una maggiore coscienza della persecuzione: il tema della libertà religiosa ha fatto progressi nella sensibilità dei singoli, sia in campo laico che nell’area cattolica, e credo che questo sia importante per far comprendere che la libertà religiosa è importante, altrove e anche qui da noi. Chiaramente dobbiamo spingere in questa direzione senza perdere di vista la prospettiva: la vera persecuzione, grazie a Dio, in Italia non la sperimentiamo da settant’anni”.

Il nostro Paese si è speso molto anche a favore di Israele.

“Sì, ci sono state molte iniziative, anche se in Parlamento la simpatia verso Israele non è trasversale: alcuni schieramenti dimostrano di provare simpatia solo per gli ebrei che si commemorano nella Giornata della Memoria, mentre quelli vivi non sembrano meritare da parte loro altrettanta stima.

Tra l’altro, dopo anni di rapporti privilegiati con il Governo di Gerusalemme, nell’ultimo anno abbiamo dovuto assistere alla grave azione di Monti che, per garantire il voto favorevole al riconoscimento ONU dello Stato palestinese, ha scavalcato il Parlamento – che avrebbe espresso parere contrario – e perfino il suo Ministro degli Esteri, giustificando poi l’azione con un comunicato imbarazzante fin dalla sintassi”.

Senatore, Lei ha inaugurato la legislatura come unico evangelico presente in Parlamento. Nel 2011 si è aggiunto, alla Camera dei Deputati, Sandro Oliveri (MpA), che nell’ultimo anno ha avviato un progetto volto a dare spazio agli evangelici nella società. Come ha visto questa iniziativa?

Cristiani per la nazione è un’iniziativa interessante, nella misura in cui punta a collegare tra loro gli evangelici per risolvere problemi specifici, specialmente nei rapporti con lo Stato; per il resto, realisticamente, non credo si possa sognare un partito degli evangelici: meglio puntare su un paziente lavoro di collegamento tra gli evangelici inseriti nella società, come si fa per esempio negli USA, per darsi una direzione comune di fronte alle scelte salienti, anche quando manca una perfetta unità di intenti”.

Negli ultimi anni si è discusso molto di valori cristiani, con aspre battaglie politiche (e ideologiche) attorno al concetto di famiglia e alle tutele delle diverse forme di unione. Nella legislatura che si conclude non ci sono state novità legislative in merito, ma si preannunciano mesi caldi…

“Comincio da una premessa concreta: per quanto riguarda il mio partito, nella prossima legislatura proporremo di agevolare le famiglie attraverso una revisione del quoziente ISEE. Detto questo, è facile prevedere che tra qualche mese le forze presenti in Parlamento affronteranno il tema del riconoscimento delle unioni civili, su cui la posizione del PdL è chiara: crediamo che la famiglia sia quella di cui parla la Costituzione; tra l’altro nel 2009 ho presentato un disegno di legge di revisione costituzionale per integrare nel testo dell’articolo 29 («la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio») la specificazione “tra un uomo e una donna”. Questa prospettiva, di ispirazione cristiana, non impedisce il riconoscimento di alcuni diritti a coppie non sposate – con alcuni limiti, come per l’adozione o la pensione di reversibilità -, ma allo stesso tempo impone che non si parli di “matrimonio”, che è decisamente un’altra cosa”.

Un altro elemento emerso con prepotenza negli ultimi anni è stato il malumore nei confronti della cosiddetta casta. Il successo di piazza dell’antipolitica non nasce proprio da una sordità dei partiti tradizionali?

“Sicuramente. Ci sono stati, negli anni – e non solo in Parlamento – abusi intollerabili che vanno perseguiti senza remore; usare però questi casi per attaccare la classe politica e le istituzioni democratiche è inaccettabile. Naturalmente questo non significa difendere i privilegi: in un momento di sacrifici per tutti, è giusto che anche le istituzioni facciano la loro parte; quel che forse non si sa – forse perché, per i media, è più comodo fare di tutta l’erba un fascio – è che le spese sono state tagliate, eccome. Posso produrre i dati”.

Non può negare però che gli eccessi e gli scandali abbiano portato a una legittima esasperazione.

“Sì, ma sostenere che «i politici sono tutti ladri» significa fare un favore ai veri ladri, perché porta alla conclusione che tutti sono colpevoli, e quindi nessuno lo è veramente.

E poi, mi si permetta una nota: si parla tanto di parlamentari e amministratori locali, ma i politici non sono i più pagati, né l’unico agente sulla scena. Per fare solo un esempio: un sindaco può costare alla collettività meno di 1500 euro al mese, mentre il segretario comunale – un ruolo imposto dalla legge a ogni Comune – a parità di condizioni guadagna tre volte di più. Allora viene da chiedersi se sono davvero i politici il problema, oppure la burocrazia che sta attorno alle istituzioni.

Se poi guardiamo a chi grida allo scandalo, troviamo un partito con due dittatori che non hanno nemmeno il coraggio di farsi avanti in prima persona… difficile non riconoscere che la martellante campagna antipolitica è strumentale a un piano politico (che, a leggere le idee di quei personaggi, risulta anche piuttosto inquietante)”.

D’accordo, senatore, ma tra feste e rimborsi gonfiati i politici non hanno dato segno di grande senso di responsabilità.

“Vero: in certi casi è capitato. E scandalizzarsi è giusto, protestare è lecito, ma se gli elettori usano il voto per fare uno sberleffo alle istituzioni non dimostrano un senso di responsabilità maggiore rispetto ai politici che contestano”.

Senatore, prima di venire a intervistarla abbiamo fatto un rapido giro di opinioni tra i nostri lettori, chiedendo quale domanda vorrebbero porle. Sa qual è il quesito più ricorrente?

“Quanto guadagno?”

In effetti no, forse perché i dati sugli emolumenti, i rimborsi e i beni di proprietà sono disponibili online. La domanda più frequente è come faccia Lucio Malan, un politico onesto che rivendica un’etica evangelica e un impegno costante a favore dei valori cristiani, a stare in squadra con un personaggio – e qui ci permettiamo un omissis – come Berlusconi.

“Buona domanda. Max Weber ha spiegato che, in politica, non vige l’etica della convinzione ma l’etica della responsabilità. «La prima – ha sintetizzato Claudio Magris qualche giorno fa sul Corriere – impone di agire secondo principi assoluti, qualsiasi cosa possa accadere. La seconda impone di agire pensando alle sue conseguenze». Nell’Italia di oggi, in mancanza di santi e profeti disposti a calcare il palcoscenico della politica, ognuno di noi deve fare la sua scelta, che è opinabile come tutte le scelte.

La mia è stata quella di schierarmi con un partito che riconosce i principi cristiani, difende la famiglia, e che – ovviamente a mio parere – ha le proposte migliori anche per l’interesse materiale dei cittadini; un movimento che difende la libertà religiosa ed è vicino a Israele.

Senza dubbio alcuno, Berlusconi non è l’incarnazione di ogni etica cristiana, ma – va riconosciuto – è anche l’unico politico la cui vita privata è stata scandagliata anche nei risvolti più intimi, per poi venire gettata in pasto ai media.

So che il paragone è forte, ma ricordiamoci che anche il Re Davide, nella vita privata, ha avuto le sue colpe – e gravi – dal punto di vista etico (forse anche peggiori di quelle ascritte a Berlusconi). Gli uomini sono imperfetti e la politica è fatta da uomini.

Pretendere dalla politica l’incarnazione delle aspirazioni religiose è sbagliato, proprio come – a ben guardare – pretendere che lo Stato sostituisca Dio.

Molti chiedono certezze allo Stato, mentre le certezze vengono solo da Dio”.

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