I giovani non ci chiedono di votare per il Senato, ma opportunità, e meglio di altri respingono la politica dei like, di cui questa riforma è chiara espressione

Signor Presidente, è difficile aggiungere qualcosa per me dopo gli interventi che, a nome del Gruppo di Forza Italia, hanno fatto ieri in discussione generale i senatori Nazario Pagano e Luigi Vitali, i quali hanno delineato un quadro estremamente chiaro della situazione, spiegando perché noi non ci siamo associati al coro pressoché unanime a favore della riforma che stiamo approvando.

Voglio dire però qualcosa. Ci troviamo di fronte a uno dei provvedimenti che ci erano stati promessi quando, l’anno scorso, si è votato per la drastica riduzione del numero dei parlamentari. Come risulta anche dai giornali dell’epoca, che ho rivisto in questi giorni, l’allora segretario del Partito Democratico Zingaretti disse che di lì a poco ci sarebbero state le misure compensative per aggiustare la riforma riguardante la riduzione del numero di parlamentari che evidentemente, per bocca degli stessi proponenti, crea degli squilibri.

Ebbene, è passato quasi un anno e non abbiamo visto niente, se non questa proposta che, secondo quanto si diceva, dovrebbe partecipare a compensare i problemi creati dalla riduzione del numero di parlamentari, ha tra gli altri l’effetto che ora dirò.

Nel 1947 i Padri costituenti avevano stabilito un numero variabile di senatori eletti che, se fosse rimasto tale, avrebbe portato ad avere un Parlamento di circa 1.200 membri rispetto ai 900 che ci sono stati fino a questa legislatura e che saranno drasticamente ridotti a partire dalla prossima. Nel 1963 si stabilì il numero fisso di 315 senatori eletti, cioè uno ogni 98.000 elettori. Nel 2018, in occasione delle ultime elezioni, il numero di elettori per ogni senatore è passato da 98.000 a 148.000 per via dell’aumento della popolazione italiana.

Di fronte a questo si è pensato di ridurre il numero dei senatori, portandolo a 233.000 elettori per ogni eletto, per cui siamo passati da 98.000 nel 1963 a 233.000 con le precedenti riforme. Per compensare questo problema si promuovono al voto del Senato altri 4 milioni di persone, di giovani, che avranno molto meno potere di quello che avrebbero avuto prima della riduzione del numero dei parlamentari, quando avrebbero potuto votare per un adeguato numero di deputati. (Applausi). Se questa è la compensazione, siamo completamente fuori strada.

Si è parlato solo di un’altra questione. Ci sono state proposte, tra l’altro venute proprio da persone che si sono fieramente opposte alla riduzione, ma sono state lasciate cadere; come tutte, tali proposte sono opinabili, però sono pervenute. L’altra proposta che abbiamo sentito in questi giorni dall’attuale segretario del Partito Democratico Enrico Letta è quella di una norma contro i cambi di casacca. Per carità, non noi che abbiamo visto cadere l’ultimo Governo che è stato espressione diretta del voto dei cittadini proprio a causa di cambi di casacca non siamo contrari; tale proposte, però, viene dal partito che in quest’Aula ha tre senatori del proprio Gruppo che hanno cambiato casacca addirittura due volte; uno in particolare (non voglio fare i nomi perché sono vittime di cose che è stato chiesto loro di fare) ha cambiato Gruppo per due volte, per il nobile fine di aiutare a dar vita al Gruppo degli europeisti, che era fatto tutto da cambiatori di casacca, allo scopo di sostenere il terzo Governo Conte. (Applausi). Se l’esempio viene da lì, dove andiamo a finire?

Peraltro, lo stesso Enrico Letta divenne Ministro (una delle tre volte che lo è stato) prima di essere mai eletto a qualsivoglia carica: lui è stato particolarmente dotato, ha fatto tre volte il Ministro senza neanche essere mai stato eletto consigliere comunale, ben lontano dall’essere deputato. Il primo Governo in cui lui fu Ministro fu il primo governo D’Alema, che nacque grazie al cambio di casacca di molti deputati e senatori da Rifondazione Comunista, da Forza Italia e persino da Alleanza Nazionale. (Applausi). Allora riuscirono a mettere insieme degli eletti di Rifondazione Comunista e di alleanza Nazionale pur di fare un Governo, pur di fare Enrico Letta ministro, che era un traguardo atteso dalla fine della guerra. (Applausi). Non basta, Enrico Letta è stato anche Presidente del Consiglio (lo ricordiamo bene), anche con il nostro voto ahinoi. Quel Governo nacque da una maggioranza originata dal premio di maggioranza ottenuto dal Partito Democratico grazie all’alleanza con Sinistra e Libertà (SEL), che – credo che nessuno si offenda – sono i predecessori di Liberi e Uguali. Questa alleanza concesse loro il premio di maggioranza ampiamente determinante per i numeri del governo Letta, peccato che quest’alleanza si sia rotta subito dopo aver eletto i Presidenti delle Camere e dunque sia stata fasulla. Allora diciamo che andiamo veramente fuoristrada, il pulpito è del tutto inadatto alla predica e la predica è discutibile.

Sappiamo che è difficile non votare a favore di questa riforma che propone di far votare per l’elezione del Senato anche i diciottenni. Noi abbiamo una grandissima attenzione per i giovani, ma abbiamo anche una grandissima attenzione alla serietà. (Applausi). Ieri il collega Vitali ha parlato dei giovani che non si interessano di politica e non è proprio il caso di forzarli a doversi interessare; poi ci sono quelli che si interessano di politica e che non vanno a votare magari perché vedono poca serietà, perché loro che conoscono i social media meglio di qualunque altra categoria d’età vorrebbero che la politica avesse un livello diverso, vorrebbero che la politica non fosse quella dei like. Allora avere i like è una cosa, governare un Paese è un’altra e i giovani lo sanno bene. (Applausi). Se si fanno le riforme costituzionali dei like, i primi a capire che è una fregatura sono i giovani. (Applausi). Oltretutto in questo modo creiamo una premessa.

Equiparando l’età per votare al Senato e alla Camera, rendiamo meno giustificabile il bicameralismo. Ora, il bicameralismo a qualcuno piace e a qualcuno non piace, ma ricordo che il 4 dicembre 2016 gli italiani hanno respinto il sostanziale monocameralismo introdotto dalla riforma Renzi-Boschi e non di poco: con il 60 per cento di voti contrari e il 40 per cento a favore. Non è stata una sconfitta da poco! (Applausi).

Quindi, noi non possiamo andare in direzione del monocameralismo con questa uniformazione. Noi, dunque, sosteniamo che bisognerebbe avere un approccio globale, come sanno tutti coloro che hanno un minimo di comprendonio. E lo sanno anche molti di quelli che portano avanti riforme in questo modo ma che, per i like del giorno dopo, dicono: chi se ne importa. Il comportamento serio sarebbe un altro, ma, per raccattare qualche consenso, facciamo anche così.

Dovrebbero sapere che la Costituzione è un’architettura, è una sinfonia. Se cambi un pezzo, non è che il resto può restare uguale e che non ci sono conseguenze sul resto. Serve equilibrio e serve, appunto, quella serietà che i giovani, per primi, ci chiedono. I giovani non chiedono il voto al Senato. Francamente, questo non l’ho sentito mai una volta, incontrando persone di tutte le età, a cominciare dai giovani. (Applausi).

I giovani ci chiedono opportunità, ci chiedono università che davvero diano delle opportunità. L’opportunità non è l’assistenzialismo, non è, come abbiamo visto ieri, la possibilità che persone che, per scelta, non lavorano guadagnino più di due giovani che lavorano 50 ore alla settimana. (Applausi). E questo legalmente!

Quando il reddito di cittadinanza, con tutte le aggiunte varie, arriva fino a 1.700 euro al mese, mentre un giovane che lavora 50 ore alla settimana ne guadagna la metà, è proprio rispetto a questo che i giovani dicono che non c’è serietà. Allora, sì, c’è il rischio che non vadano a votare, anche se noi concediamo loro il diritto.

Mostriamo di avere fiducia nelle istituzioni, perché se danneggiamo le istituzioni democratiche, il Senato e la Camera, non è che il potere va ai cittadini e al popolo. Il potere va ai grandi interessi, alle grandi burocrazie, alle organizzazioni internazionali dalla dubbia stabilità democratica e alle potenze straniere che cercano di infilarsi nel nostro territorio (parlo del regime del Partito Comunista cinese), comprando aziende, persone e media.

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