Signor Presidente, ci troviamo ad affrontare – naturalmente con il voto di fiducia, per impedire di votare sui singoli emendamenti alla luce del sole, davanti a tutti – un provvedimento che fa parte di quella grande operazione che è il Piano nazionale di ripresa e resilienza. La parola «resilienza», che credo fosse sconosciuta ai più fino a due anni fa, ora è diventata indispensabile, come hanno fatto nell’immediato dopoguerra con il boom economico, quando non conoscevano – o perlomeno la conoscevano in pochissimi – la parola «resilienza». Il timore è che questa parola resti per l’appunto una parola e i fatti dicano un’altra cosa.
Il decreto-legge in esame è sostanzialmente un provvedimento omnibus perché, a parte gli articoli che riguardano la questione scuola, verte su un po’ tutti i numerosissimi aspetti della pubblica amministrazione, che per la sua presenza, la sua articolazione e la sua importanza nel nostro Paese sostanzialmente tocca tutti i settori della nostra Nazione e della vita quotidiana. L’esame è stato evidentemente difficile ed è partito già con l’intenzione di violare quanto la Costituzione prescrive e cioè che siano entrambe le Camere ad esaminare il provvedimento. È successo anche in passato che fosse una sola Camera ad esaminare un provvedimento, perché possono succedono degli imprevisti, perché l’esame può protrarsi per qualche ragione o in caso ci siano delle modifiche introdotte in prima lettura; ma quando si parte con questa idea, evidentemente già non ci siamo molto.
Oggi è il 21 giugno, il decreto scade il 29 giugno e deve ancora essere trasmesso all’altro ramo del Parlamento, venire esaminato in Commissione, poi in Aula. Parliamo di finti esami, esattamente come sono finiti gli esami del Senato quando la stessa procedura viene seguita alla Camera, perché se non sbaglio soltanto mercoledì o giovedì, cioè a dieci o dodici giorni dalla scadenza ultima del provvedimento per entrambe le letture, si è iniziato ad esaminare e a votare i numerosi emendamenti, che è normale che fossero numerosi anche – ed anzi direi soprattutto – da parte della maggioranza, data l’articolazione del provvedimento.
Mi domando come si faccia ad esaminare realmente un provvedimento di questo tipo. La ragione di questi ritardi non è certo da ricercare nella conduzione della Commissione, anzi ringrazio il presidente Nencini, che l’ha condotta con grandi capacità, cercando di tenere la barra del timone in modo da dare un certo ordine ai lavori, come anche i relatori, la senatrice Rojc e il senatore Cangini, che hanno svolto con impegno il loro lavoro. La ragione, piuttosto, è nel fatto che tutte le decisioni non vengono prese evidentemente in Aula, perché in quella sede viene posta la questione di fiducia e basta, per cui o si è nella maggioranza di Governo o no – anche se nessuno è obbligato ad aderire, anche se fa parte della maggioranza di Governo, ma sappiamo come vanno le cose – ma neppure in Commissione, cioè l’esame si svolge altrove.
Faccio l’esempio di come si sono svolti i lavori nella giornata di ieri, con la Commissione che, già dopo parecchi rinvii venerdì scorso, viene convocata alle 12, viene posticipata alle 12,30, poi alle 13,30, poi alle 14,30, quindi alle 15,30. Dopodiché, c’è un salto di qualità: il posticipo, anziché essere di un’ora, diventa di tre ore e la seduta viene posticipata alle 18,30, ma alle 18,30 non si tiene e viene posticipata alle 19,40, quando finalmente altrove è stato deciso quale testo votare. La Commissione, quindi, ha votato tutta la parte relativa a quel settore di cui si dice giustamente che è molto importante, cioè la scuola, liquidando di fatto il testo in venti minuti. Ora arriviamo in Aula ed è difficile conoscere il lavoro che c’è stato, anche l’elenco dei numerosi emendamenti approvati. Ci sono anche alcuni emendamenti proposti da Fratelli d’Italia che intervengono più che altro sulle procedure, noi ne avevamo proposti ben altri, su questioni sostanziali, ma evidentemente è già abbastanza difficile mettersi d’accordo fra i partiti della maggioranza, per l’opposizione resta poco spazio, ma devo dire che è stata manifestata un’attenzione. Dire però che questo è un esame parlamentare è dire ciò che non è, perché l’esame si svolge altrove, è il Governo che fino all’ultimo continua a mandare modifiche a ciò che ha deciso insindacabilmente e urgentemente, con tanto di ricorso allo strumento del decreto-legge, che rende il provvedimento immediatamente efficace e vigente, salvo poi continuare a presentare fino a pochi giorni dalla scadenza estrema – anzi avremmo dovuto inviare alla Camera questo testo già venti giorni fa – delle correzioni, oltre ad emendamenti che introducono nuovi elementi. Quando si dice che bisogna stare al passo con le urgenze della concitata vita moderna, sarebbe più giusto dire che le urgenze derivano dai cambiamenti di idea del Governo, dalle nuove trovate, che però non è che siano introdotte per star dietro ai problemi quotidiani, perché qui c’è un problema: questo PNRR è stato scritto a livello europeo ed è stato recepito, con le procedure dovute, a livello italiano, quando l’emergenza era generata dalla pandemia da Covid, con i riflessi molto pesanti che ci sono stati sull’economia. Il nostro Paese, infatti, ha avuto il primato per il più consistente crollo del prodotto interno lordo a causa delle misure particolarmente severe (più severe che in ogni altro Paese), primato che si è accompagnato a quello per numero di morti, per cui evidentemente qualche problema c’è stato.
Oggi è evidente però che ci sono quantomeno anche altre emergenze. Tra l’altro è un Piano di ripresa e resilienza – generato da un’emergenza di carattere sanitario, alla base di tutto – che destina alla sanità risorse molto limitate, una parte molto piccola di questi fondi, quando una società che invecchia, dove le cure mediche si evolvono in continuazione e con esse i costi, dovrebbe comunque aumentare le spese sanitarie. Oggi siamo in una situazione – credo si sappia – dove l’emergenza generata dalla guerra in Ucraina è un’emergenza energetica. Cosa si fa? Si va avanti con il vecchio Piano nazionale di ripresa e resilienza. Fratelli d’Italia ha chiesto più volte, in più sedi, al Parlamento italiano e al Parlamento europeo, di aggiornare questo Piano, così come previsto nelle procedure europee, oltre che naturalmente dalla possibilità che la libertà del Parlamento, se realmente ci fosse, dovrebbe poter avere. Ebbene no. Si è rimasti con le priorità precedenti ed, anzi, si va avanti con il vecchio piano, con il fondamentalismo ambientalista, dove si prendono alcuni assiomi e dogmi che vengono applicati in modo acritico, arrivando al punto che in questi giorni, quando ci sono problemi di ben altro tipo, si pensa di dare una mazzata all’industria automobilistica continentale con l’annuncio dell’eliminazione dei motori endotermici entro il 2035. Ciò, insieme a tutte le altre norme di questo tipo, consentirà alla Cina di assorbire nuova produzione. La Cina potrà produrre di più a danno dell’Europa. In Cina non c’è alcuna limitazione alle emissioni e tantomeno all’inquinamento vero e proprio. Di conseguenza il risultato di questa bella norma sarà l’aumento delle emissioni globali e, visto che si parla di un problema globale, poco importa che le emissioni avvengano in Cina o in Europa. Ci troviamo così di fronte ad un confronto molto aspro: quello tra le visioni ideologiche fondamentaliste e la realtà. Questo è il pericolo peggiore che può correre la politica: scambiare, sostituire la realtà e i problemi reali delle persone (non è un fatto filosofico, ma una questione che tocca i problemi reali delle persone e dei cittadini che si trovano con delle bollette esorbitanti e costi altissimi che fanno chiudere migliaia e migliaia di aziende e di attività) con l’ideologia al fine di correre dietro al fondamentalismo ambientalista che, di fatto, va nella direzione opposta sia degli interessi economici e pratici dei cittadini sia addirittura della tutela dell’ambiente. (Applausi).