I colpevoli di atti minimi e i responsabili di veri disastri ambientali vengono puniti con lo stesso metro e con le stesse pene

La definizione del reato è nebulosa. Una formulazione foriera di fraintendimenti e di applicazioni difformi a qualsivoglia principio di proporzionalità e ragionevolezza

Intervento in Aula nella discussione sui delitti contro l’ambiente

Signora Presidente,

inizierò illustrando l’emendamento 1.194, che propone semplicemente che non si applichi l’istituto della confisca nel caso in cui colui che ha prodotto il danno abbia posto in atto le condotte di ravvedimento operoso descritte nell’articolo 452-octies. Sembrerebbe una ovvietà ma, pur essendo ovvia, tale previsione nel testo non c’è. Pertanto, senza l’approvazione di questo emendamento, ci potremmo trovare dinanzi ad un soggetto che ha arrecato un danno ambientale, il quale – salvo quanto previsto dall’articolo 452-octies – viene punito con sanzioni appropriate (o per lo meno ritenute tali) al tipo di danno ambientale prodotto, spende un bel po’ di soldi – che è giusto che spenda – per ripristinare l’ambiente (possiamo immaginare un terreno), dopo di che il bene gli viene confiscato. Francamente, non si evince la logica. Credo si tratti di una correzione doverosa che, mi pare di aver capito, potrebbe essere accolta attraverso l’approvazione di questo emendamento o di altri.

Visto che il senatore Caliendo è il primo firmatario degli emendamenti – non numerosissimi, ma tutti significativi – presentati da Forza Italia e non ha potuto illustrarli tutti dal momento che, ancora una volta, abbiamo dinanzi un provvedimento contenuto tutto in un singolo articolo, sul pessimo esempio delle leggi di stabilità, vorrei dire qualche parola sull’emendamento 1.248, che tenta di dare una definizione più chiara e precisa del disastro ambientale.

Come hanno detto altri prima di me – poco fa il senatore D’Alì e, precedentemente, il senatore Caliendo – questa legge nel suo insieme parte da una necessità sentita da tutti, e cioè quella di punire gravi danni inferti all’ambiente. Danni che oggi non si configurano come un reato a sé, e rischiano di essere puniti soltanto con sanzioni di carattere amministrativo che, in alcuni casi, possono sembrare del tutto inadeguate al danno prodotto. Si parla di fenomeni come l’inquinamento da amianto, che ha colpito anche diverse zone del mio Piemonte – in particolare, la città e l’area di Casale Monferrato – ma vi sono stati anche altri casi, come la ‘Terra dei fuochi’.

È giusto punire in modo adeguato questo tipo di delitti. Poi, però, come purtroppo è accaduto per molti altri provvedimenti, si adotta un modo di legiferare per cui si parte da una necessità reale e da casi particolarmente allarmanti e degni di sanzioni e proibizioni normative e poi, in gran parte in buona fede – per l’ansia di punire non soltanto quei casi ma anche quelli in cui si producono le premesse perché cose del genere avvengano, e magari anche le condotte che sono premesse alle premesse – con lo stesso metro e con le stesse pene vengono puniti coloro che sono colpevoli di atti minimi e i responsabili di veri disastri ambientali, di aree dove intere produzioni agricole sono compromesse e la salute delle persone è messa in pericolo o può comunque subire danni. Si mettono accanto fenomeni del tutto diversi, con una formulazione che già di per sé è foriera di fraintendimenti e di applicazioni difformi a qualsivoglia principio di proporzionalità e ragionevolezza.

Se, poi, ci mettiamo la volontà di alcuni magistrati di dare interpretazioni stiracchiate, molto al di là del ragionevole persino di ciò che si legge, rischiamo di arrivare a conseguenze molto gravi. Infatti, se anche 999 magistrati su 1000 interpretassero le norme in modo ragionevole (sempre che la norma sia scritta in modo ragionevole, e qui molto spesso non lo è), ci correrebbe comunque il rischio di trovarsi nelle mani di quell’uno su 1000 che darà un’interpretazione stiracchiata e la più estensiva possibile della norma, che porta a punire con sanzioni pesantissime comportamenti trascurabili o comunque degni di ben altro tipo di sanzioni (penso a sanzioni amministrative, multe e cose di questo genere).

In particolare, con riferimento all’articolo 452-ter, proponiamo di dare una sola definizione e di togliere la seguente frase, molto ambigua: «l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema», dal momento che non esiste una definizione dell’ecosistema. Ci sono due modi di definire l’ecosistema. Per esempio, da enciclopedia, l’ecosistema aereo è definito come l’intera atmosfera della terra. È quindi chiaro che chi dovesse commettere questo reato sarebbe passibile delle pene più fantasiose e severe. Tuttavia, l’ecosistema può anche essere inteso come un piccolo ambiente che ha il suo equilibrio. Non si dovrebbe neanche alterare l’equilibrio di uno stagno, per quanto piccolo esso sia – ciò è beninteso – ma non si può pensare di applicare a chi ha turbato, magari reversibilmente, l’equilibrio di uno stagno, la pena della reclusione da 5 a 15 anni. Ma vogliamo fare il paragone tra le pene che sono proposte in questo provvedimento e le pene previste per l’omicidio o lo stupro? È possibile avere un’applicazione di questo genere?

Un’altra definizione contenuta nell’attuale testo che ci viene sottoposto è quella di cui al punto 3), dove si legge che costituisce disastro ambientale anche «l’offesa alla pubblica incolumità, determinata con riferimento alla capacità diffusiva degli effetti lesivi della condotta». Si tratta di un’espressione che, francamente, avrei difficoltà a spiegare, anche senza mettermi nei difficili panni di un magistrato che debba stabilire se questa definizione si applica al caso che gli viene sottoposto. Ma cosa vuol dire se la capacità diffusiva è media? Cosa è la capacità diffusiva?

Francamente, vi sono delle definizioni di una vaghezza tale che – come qualcuno prima di me ha detto – rischiamo di rendere inapplicabili le norme. Le condotte sono così vaghe, e sappiamo che, nel dubbio, ci dovrebbe essere un giudizio a beneficio dell’imputato (in dubio pro reo). Di conseguenza, se c’è un dubbio, non si dovrebbe applicare questa norma.

Dall’altra parte, c’è invece il rischio che questo principio non venga applicato e che, naturalmente con il nobile scudo della difesa dell’ambiente (cosa doverosa e fondamentale nella nostra società, nel nostro Paese, nel nostro territorio), si comminino da 5 a 15 anni di reclusione a persone che hanno fatto dei danni del tutto marginali, persone che hanno fatto una cosa riprovevole ma, magari, per disattenzione. La stessa cosa vale per l’ancora più inclusivo articolo 452-bis in materia di inquinamento ambientale. Vedo degli emendamenti che si propongono non soltanto di estendere ulteriormente le pene e di renderle ancora più severe (anni, decenni di reclusione) ma anche – per quel che è peggio – di rendere ancora più nebulosa e dispersiva la definizione del reato.

Credo che faremmo un servigio alla difesa dell’ambiente se riconducessimo questo testo a ciò per cui è nato e per il quale tanti cittadini ci chiedono di portarlo a termine: punire chi causa gravi danni all’ambiente e non chi cambia l’olio alla macchina e poi non butta la latta dove dovrebbe – per carità – ma da qualche altra parte. (Applausi dal Gruppo FI-PdL XVII).

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