“Anticorruzione”: il Governo dà anni di carcere a chi prende un regalo da 100 euro e poi ne fa uno da 16 miliardi

Intervento in Aula sul disegno di legge anticorruzione

Signor Presidente, Signori rappresentanti del Governo, Colleghi, inizierò con due citazioni, la prima delle quali è la seguente: «Montesquieu affermò che ogni punizione che non sorge dall’assoluta necessità è tirannica, ma io direi piuttosto che ogni atto di autorità di un uomo su un altro, per il quale non vi sia un’assoluta necessità, è tirannico» (Cesare Beccaria). Per venire alla seconda citazione, nel perorare il rapido avanzamento di questo disegno di legge che stiamo esaminando: «non vi sono dati che possano esprimere la tristezza della corruzione. Tutti abbiamo il dovere di fare qualcosa». La persona che ha pronunciato queste frasi ha effettivamente fatto qualcosa: qualche giorno dopo averle dette, ha preso 100.000 euro di mazzetta da un onesto pasticcere che vende le prelibatezze di quella Regione nell’aeroporto di Palermo. Si tratta di Roberto Helg, grande propugnatore di ogni battaglia contro la corruzione, egli stesso garante anticorruzione per Confindustria che, in ottima compagnia, quantomeno dal punto di vista del rango istituzionale, ha fatto convegni, perorazioni, appelli strappalacrime e strappacuore contro la corruzione giusto prima di prendere quella mazzetta da 100.000 euro. L’Italia, però, ha anche persone come Cesare Beccaria, che non è più con noi da tempo, o come quel pasticcere che ha avuto il coraggio di andare a denunciare (e sì che aveva forse qualche timore nel farlo, date le altolocatissime amicizie del signor Helg). Ebbene, io, tra Roberto Helg e Cesare Beccaria, sto con Cesare Beccaria.

È vero però che il nipote di Cesare Beccaria non è simpatico al Presidente del Consiglio, dunque c’è poco da star tranquilli – perché quello che dice lui è legge – in questa che, ieri, un esponente autorevole della Maggioranza – lo sottolineo – ha definito la «nuova teocrazia renziana». Egli dunque vuol mettere al bando – giustamente, dal suo punto di vista – il romanzo del nipote di Cesare Beccaria, che si chiamava Alessandro Manzoni: «I promessi sposi». Comprendo che chi ha molta fretta, come il Presidente del Consiglio, non possa leggersi un intero libro di questo genere, ma basterebbe il primo capitolo: quello in cui si parla di quelle “gride” divenute famose e conosciute come manzoniane, ancorché Manzoni abbia il solo pregio di averne messa in evidenza l’efferatezza. Si trattava delle “gride” di un Governo corrotto, che ha fatto un gran male all’Italia nel 1600 e che, per combattere fenomeni di criminalità diffusa, non sapeva far altro che emanare “gride”, appunto (oggi si fanno decreti o disegni di legge) per fare figura e ‘dare un segnale’, come si dice oggi (nel 1600 erano meno evoluti sotto il profilo della nebbia e del fumo negli occhi).

Per dare un segnale si faceva dunque una bella grida, imponendo pene peraltro, inizialmente, molto più miti di quelle previste in questo disegno di legge. Poi, di fronte all’assoluta inefficacia di queste gride, si passava ad un’altra grida in cui veniva ribadita quella precedente; spesso le leggi lo fanno, e anche in questo caso lo stiamo facendo. Qui si vuole fare una certa propaganda, sia dei mezzi di comunicazione sia di molti esponenti politici, che raccontano la menzogna assoluta, o la fanno passare, secondo la quale oggi non c’è una legge contro la corruzione. Ricordo ai colleghi – a quelli che c’erano nella scorsa legislatura e a chi non c’era – che una legge anticorruzione è stata approvata alla fine del 2012. Bisogna forse fare una legge tutti i giorni?

Ogni giorno vengono denunciati migliaia di furti in Italia: dobbiamo forse fare non dico migliaia ma centinaia di volte al giorno una nuova legge contro il furto? Certamente ci sono aspetti su cui intervenire, ma il semplice aumento delle pene, oltre a contravvenire ad alcuni principi, ha anche profili irrazionali tali per cui ci sono reati, in particolare quelli riguardanti l’associazione di carattere mafioso, per cui una persona che esplicitamente non ha compiuto alcuno specifico reato, alcun crimine, solo perché appartiene ad una certa organizzazione, con questo disegno di legge può benissimo subire pene più pesanti che per l’omicidio volontario (non quello colposo, rispetto al quale abbiamo parecchi ordini di grandezza superiori). Ebbene, bisognerebbe avere un atteggiamento un po’ meno «gridato», un po’ meno volto a ‘dare segnali’. Credo che noi legislatori – perché tali siamo – in questa occasione più del solito (per una volta non si tratta di un decreto-legge) dovremmo essere volti allo stesso obiettivo che hanno tutti i lavoratori del nostro Paese.

Chi fa il pasticcere, come colui che veniva estorto dal grande moralista dell’aeroporto di Palermo, deve fare bene i pasticcini, i suoi dolciumi. Chi fa l’avvocato deve difendere bene i suoi clienti; chi è agricoltore deve far crescere i suoi prodotti e chi fa le leggi deve fare buone leggi, e non ‘dare segnali’. Quando andiamo a comprare del cibo non vogliamo un segnale per far vedere, ma che il cibo sia buono, sano e nutriente. Allo stesso modo, quando andiamo dal medico non vogliamo segnali e spot, ma che ci visiti adeguatamente, che ci faccia una diagnosi e ci dia cure efficaci, e non ‘dare un segnale’. Noi, che abbiamo una responsabilità altissima, se diamo segnali anziché fare buone leggi avremo i medesimi risultati delle grida del Seicento, quelle che il Presidente del Consiglio non vuole più che vengano studiate nelle scuole, quelle di quando il crimine prosperava ancora di più e qualche poveraccio finiva di mezzo, come sempre nello stesso libro viene raccontato (ma qui siamo intorno al ventesimo capitolo, per cui un lettore affrettato non ci pensa neppure ad arrivare fino a quel punto; basta leggere il primo capitolo, non chiedo un grande sforzo). Contemporaneamente a queste norme, a queste grida, poi però si fanno delle cose del tutto in contrasto. Ecco perché ho presentato due emendamenti, che apparentemente potrebbe dirsi che vanno al di fuori dell’ambito di questo provvedimento.

Ma qual è il problema della corruzione? Che qualcuno fa soldi in maniera disonesta (e ciò è di cattivo esempio): si fa dare dei soldi per fare cose ingiuste e per privilegiare a sua volta qualcuno. Questa è la corruzione: io pago un qualche funzionario o un qualche politico per farmi assegnare dei lavori, per farmi dare un incarico di lavori, e lo si fa attraverso la corruzione. Poi ci sono quelli che non hanno bisogno di corruzione, perché sono coloro a cui i regali vengono fatti per legge.

Mi riferisco all’articolo 5 del decreto cosiddetto ‘Sblocca Italia’ dove, senza bisogno – almeno che si sappia – di passaggi di denaro, e soprattutto senza rischiare cinque, dieci, venti, trent’anni di carcere e 30-40 di processo, sono stati affidati dei lavori che danno luogo non a ricavi ma a margini (questa è la stima fatta da autorevoli esperti del settore) di 16 miliardi. Ciò contravviene alle leggi e alle norme europee, contro il parere espressamente dato dall’Antitrust, dalla Banca d’Italia, dall’Autorità anticorruzione (che in altri settori, quando fa comodo, viene presa come verità assoluta), dall’Autorità dei trasporti. Il tutto con un profitto di 16 miliardi di euro nel lungo termine. Ma ogni giorno questa norma, già solo per il fatto che è entrata in vigore e, poi, è stata benevolmente prorogata nel decreto milleproroghe (perché i signori cui si faceva il regalo avevano qualche difficoltà a spiegare dettagliatamente i piani attraverso i quali bisognava fare questo regalo), costa almeno 2 milioni di euro, che dalle tasche dei cittadini e delle imprese italiane finiscono nelle tasche di persone che non hanno mai vinto una gara d’appalto. Giustamente combattiamo il guadagno illecito e le sperequazioni, ma combattiamole tutte. È inutile che il Governo promuova o sostenga norme che danno cinque, dieci o chissà quanti anni di carcere a chi si prende (e non deve farlo, perché è gravissimo che lo faccia) un regalo da 100 euro e, poi, però, ne faccia uno da 16 miliardi. Effettivamente, si risparmiano 100 euro tante volte, riprendendoli ai cittadini italiani onesti che pagano per darli a qualcun altro.

Ho presentato anche una proposta contro l’abuso perpetrato dallo Stato nei confronti dei cittadini. Un modo fondamentale per combattere la corruzione consiste nell’eliminare le circostanze in cui la tentazione della corruzione sorge, riducendo la burocrazia, riducendo i cento, mille timbri, autorizzazioni, vessazioni, controlli arbitrari previsti, per diminuire le occasioni in cui funzionari – e, in alcuni casi, esponenti politici – possano condizionare la loro autorizzazione e il loro timbro a qualche piacere che ricevono. Purtroppo, questo Governo aumenta il carico burocratico. La legge anticorruzione – non questa, quella precedente tutt’ora in vigore – li aumenta ancora e, così, si dà modo allo Stato di vessare i cittadini. I cittadini vedono lo Stato come un nemico. È giusto che chi compie un’infrazione stradale, ad esempio, paghi; ma è anche giusto che, una volta che ha pagato, non gli venga, dieci o venti volte, richiesto di ripagare; o, ancora, è giusto che non si chieda di pagare tasse a chi le ha pagate e, magari, contando sul fatto che erano somme piccole, lo ha fatto senza andare a controllare nel timore di ricevere ulteriori sanzioni. Dobbiamo anche punire i funzionari che si comportano in questo modo, che vessano i cittadini e che estorcono denaro ai cittadini che già hanno versato. Altrimenti, come ha detto un collega, lo Stato si comporta come un criminale e c’è poco da stupirsi se, poi, qualcuno non ha fiducia nello Stato.

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