Affidamento: un provvedimento che agisce sulle conseguenze, e non sulle cause, del problema

L’affidamento, all’opposto dell’adozione, dovrebbe consentire ai bambini di ritornare nelle loro famiglie originarie

Intervento in Aula sulle adozioni dei minori da parte delle famiglie affidatarie

Signor Presidente,

ho presentato alcuni emendamenti che sono basati su un concetto: la legge in vigore, molta della quale resta immutata anche qualora il disegno di legge diventasse legge, distingue in modo radicale l’affidamento dall’adozione. L’affidamento – e non lo afferma un’opinione, ma la legge n. 184 del 1983 all’articolo 5 – non è un’adozione provvisoria, non è un atto prodromico all’adozione o un suo succedaneo; è parte di un progetto volto, ove possibile, a ripristinare le condizioni tali per cui il minore può ritornare nella sua famiglia di origine. La famiglia affidataria dovrebbe essere – anzi, è – il principale ma non unico protagonista di questo progetto, oltre naturalmente al minore. Per questo, fin dall’inizio, la famiglia affidataria dovrebbe essere cosciente di questa differenza: non deve precostituire le condizioni perché questo affidamento diventi stabile, ovvero diventi un’adozione, ma dovrebbe fare esattamente l’opposto. Per queste ragioni è opportuna la distinzione ora vigente tra l’affidamento e l’adozione.

Vedo che noi interveniamo sull’articolo 4 e sull’articolo 5, il quale però, al comma 2, afferma che: «Il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore, secondo le modalità più idonee avvalendosi anche delle competenze di altre strutture». Il comma 1 stabilisce anche che l’affidatario deve tener conto delle indicazioni dei genitori, della famiglia di provenienza, naturalmente ove possibile, ove questi ci siano, ma se non ci fossero non ci sarebbe un affidamento bensì un’adozione. La legge stabilisce anche che l’affidamento dovrebbe avere un termine massimo di 24 mesi, prorogabile solo in gravi casi. Tuttavia, quanti operano realmente in questo settore ci dicono che in realtà il termine di 24 mesi viene ritenuto minimo anziché massimo; di solito in quei 24 mesi non c’è neanche alcun reale tentativo di reinserimento nella famiglia di origine e la proroga viene fatta in modo normale, tanto che si hanno casi di affidamento di 4, 6, 7 o 8 anni. È chiaro che dopo un periodo così lungo viene a crearsi inevitabilmente un rapporto tale per cui in questo senso diventa opportuno l’inserimento del comma 5-bis che fa sfociare quasi naturalmente in adozione ciò che è affidamento.

Bisognerebbe applicare la legge in vigore oggi e continuare ad applicarla. Il termine di 24 mesi dovrebbe essere rispettato, ma il progetto che dovrebbe essere elaborato dai servizi sociali, nella maggior parte dei casi, non c’è.

E non c’è per una serie di ragioni: perché questo progetto richiederebbe e presupporrebbe una continuità nel personale dei servizi sociali, che spesso non c’è. Ci sono delle supplenze, dei trasferimenti, degli spostamenti e degli avanzamenti di carriera, per cui in questo arco di tempo, che dovrebbe durare al massimo due anni, se il bambino e la famiglia affidataria avessero rapporti con i servizi sociali avrebbero i rapporti con una serie di persone diverse, la cui efficienza e buona volontà (che non possiamo dare per scontata, perché sono esseri umani anche loro) sarebbero comunque insufficienti a supplire al continuo ricambio.

Ci troviamo in una situazione per la quale, visto che la legge oggi non è applicata (e sarà applicata ancora meno, se approviamo queste norme), dobbiamo prendere atto di questa mancata applicazione.

L’affidamento dovrebbe essere totalmente diverso dall’adozione, e non perché sia una misura di serie B. È un gesto nobilissimo quello delle famiglie che accettano dei bambini in affidamento, così come quello delle famiglie che li accettano in adozione, ma tale istituto dovrebbe essere disgiunto dall’adozione. È la stessa differenza che intercorre tra l’insegnante e la famiglia. Sono due istituti diversi. L’insegnante deve prendersi la massima cura dei ragazzi che gli sono affidati, come deve fare l’affidatario, ma non sono suoi figli e non lo diventeranno. Ma come dice la legge, giustamente, nelle parti che non vengono modificate, l’affidamento dovrebbe fare esattamente l’opposto dell’adozione e prevedere un progetto che consenta a questi bambini di ritornare nelle loro famiglie originarie.

Vogliamo poi dire due parole sull’articolo 403 del codice civile e sul fatto che un impiegato dei servizi sociali, senza che il magistrato c’entri in alcun modo, magari un assistente sociale supplente, decide che dei bambini non vivono in un ambiente familiare adatto (magari perché la casa non è sufficientemente pulita e comoda)?

Questi bambini vengono prelevati a scuola, perché i genitori non li vedano e loro non vedano i genitori, portati in un luogo lontano dalla loro residenza, e quindi strappati alla loro famiglia, alla loro scuola e poi dati in affidamento a qualcuno. E chiaro che, dopo un trauma di questo genere, il problema emerge. Ma non dovremmo piuttosto intervenire su ciò che sta alla radice, cioè sull’articolo 403 del codice civile, prima di intervenire sulle conseguenze?

Quando parliamo di bambini in affidamento, noi parliamo col cuore e, al pensiero di avere in affidamento un bambino, siamo d’accordo sul fatto che ci si affezioni dopo 10 minuti. Figuriamoci quindi dopo due anni, quattro o sei – che è il termine fino al quale, spesso illegalmente, viene protratto l’affidamento.

E quale è l’origine di questo affidamento? Il fatto che questi bambini vengono portati via, rapiti in una scuola, senza che i genitori vengano neanche informati su dove si trovino. E magari questi genitori hanno la sola colpa di non avere una casa che i servizi sociali ritengano adeguata senza, magari, averla mai vista. Forse sarebbe meglio avere un po’ più di cautela e guardare all’insieme del provvedimento senza limitarci a dire: gli affidatari si sono affezionati ai bambini, perciò lasciamoli a loro!

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