Dialogo interreligioso: Convegno “Il dialogo tra le civiltà”

Intervento del senatore Lucio Malan

Ringrazio innanzitutto il Presidente Yayha Pallavicini di avermi fatto l’onore di invitarmi a partecipare a questo prestigiosissimo gruppo di discussione – e, come rappresentante dell’ufficio di presidenza del Senato, io sono particolarmente contento che il Senato ospiti questo evento; e ringrazio per come si è svolto e, in particolare, per come è iniziato questo momento.Parliamo di dialogo: la parola stessa dialogo implica la pluralità, implica che due o più interlocutori abbiano qualcosa da dire, abbiano una loro identità da esprimere, abbiano delle convinzioni forti e, sulla base di queste convinzioni, sono pronti a condividere con coloro che hanno convinzioni diverse momenti, scambio di esperienze, e ricerca di una via per la convivenza nel pieno rispetto. Non dobbiamo parlare di tolleranza, dobbiamo parlare di rispetto, di accettazione, perché questo è – proprio perché ciascuno ha le sue convinzioni forti.

Il Presidente Pallavicini ha iniziato quest’evento con l’invocazione a Dio, l’invocazione della sua religione – che, fra l’altro, sono parole che condividiamo tutti nel loro significato. Credo che la negazione, pensare che il dialogo comporti di negare o di sminuire le proprie convinzioni, sia sbagliato e non porta ai risultati. Molto spesso, i trattati di pace fra le Nazioni si concludono – quando non avvengono dopo una guerra, quando avvengono pacificamente – proprio perché entrambi si sentano (entrambi i Governi, entrambi coloro che li stipulano) forti abbastanza da affrontare la pace. Gandhi disse che la non violenza, ed è ben vero, non è dei deboli ma esattamente l’opposto. E’ più facile la violenza, mentre bisogna essere forti e coraggiosi per affrontare la pace, il dialogo con chi ha convinzioni, approcci, eredità, patrimoni culturali diversi; per cui è molto importante che questo avvenga nella pienezza delle reciproche convinzioni.

Credo sia più facile accettare quelle delle altre se si è convinti delle proprie. Gli intolleranti, di solito, sono intolleranti perché temono di non riuscire a sostenere le proprie convinzioni di fronte a gli altri, per cui c’è il rifiuto, la paura, l’odio; mentre, se c’è una fiducia in se stessi, in ciò in cui si crede, si accettano gli altri, si accetta il dialogo, si accetta di trovare quelle vie per quella pacifica convivenza che è uno dei compiti principali – forse il compito principale – che ha la vita politica, l’attività politica, e tutti contribuiscono a svolgere questa attività politica (sia chi è eletto a qualche funzione, sia chi fa parte della polis, fa parte della società. In questo ambito, credo che la politica debba creare i presupposti, creare le circostanze per cui tutte le convinzioni, tutte le confessioni religiose, possano esprimersi nel rispetto delle altre, nel rispetto anche di chi non ha convinzioni religiose. L’ateismo è una credenza basata su presupposti non dimostrabili, almeno tanto quanto le religioni, quindi ha la sua cittadinanza tra le convinzioni; ma non è certo una sorta di ateismo strisciante di Stato, la soluzione per la pacifica convivenza.

C’è chi dice le religioni sono i colpevoli dei grandi massacri, dei grandi odi, delle grandi guerre, poi abbiamo scoperto, il secolo scorso, che proprio ideologie esplicitamente atee hanno fatto peggio ancora di quanto fosse mai avvenuto. E neppure, appunto, imporre allo Stato una sorta di ateismo che tollera il fatto che qualcuno abbia delle convinzioni religiose credo sia la via giusta. La via giusta è quella di trovare, con grande fatica, e con attenzione alla realtà che muta come in Italia è cambiata moltissimo il panorama delle minoranze religiose negli ultimi decenni; è trovare queste realtà, aver la capacità e la pazienza per fare quel lavoro, giorno per giorno, che consente la pacifica convivenza e la possibilità, per chi ha le proprie convinzioni religiose, di poterle vivere serenamente, in uno Sato che consente a tutti di poterle avere.

In questo senso, le Intense su cui abbiamo lavorato nella scorsa legislatura sono un fatto positivo – e ringrazio il Presidente Amato per avere menzionato la necessità di arrivare a una forma di Intesa anche per le comunità islamiche, che rappresentano un numero così vasto di cittadini, e anche di residenti che però diventeranno cittadini presumibilmente nel prossimo futuro. Perché la via di chi dice “No, dobbiamo limitare il più possibile”, temendo le manifestazioni di estremismo in questo ambito, credo che va esattamente nella direzione opposta, incoraggia le manifestazioni di estremismo che ci sono sicuramente in ambito di determinati gruppi che si richiamano esplicitamente all’Islam.

Ringrazio il professore Abd al-Aziz Uthman Al Twajiri, che ci ha detto delle parole che meritano un grande spazio e una grande accoglienza, e concludo dicendo questo: molto spesso si assiste a dei dibattiti in cui si dice che le religioni, e quali religioni, sarebbero portatrici di pace – e quali non lo sarebbero. Credo che sia un fatto inutile e anche dannoso perché è innegabile che ben pochi gruppi religiosi possono dire che mai nel loro ambito, in nome di queste religioni, non siano avvenuti episodi di violenza. Ne sono avvenuti tantissimi, i miei antenati ne sono stati vittime e in ogni tempo sono avvenuti. Però il punto è che dipende da noi, da ciascuno di noi – in particolare da chi rappresenta delle confessioni, dei gruppi religiosi, ma dipende da tutti – che cos’è oggi, come si sviluppa oggi il dialogo fra le religioni, il dialogo fra le civiltà o semplicemente fra le opinioni. Non importa quello che è accaduto nel passato se oggi noi lavoriamo perché l’espressione, e ciascuno del proprio gruppo religioso, sia un’espressione di pace, di rispetto e di pacifica convivenza.

Questa è la realtà che produciamo. E non dipende soltanto da chi si esprime a nome dei gruppi; dipende anche, ad esempio, dai mezzi d’informazione, di quanto spazio danno agli episodi orribili che vediamo, di quanto spazio danno alle parole che abbiamo sentito dal Presidente Pallavicini, di Sua Eccellenza Al Twajiri. Credo che farebbe del gran bene a tutti sentire di più le parole, peraltro autorevolissime dal punto di vista della rappresentatività, dell’approfondimento della conoscenza dell’Islam, proprio perché sappiamo che altri hanno un approccio diverso.

Dipende da noi: ecco perché il dialogo è importante. Perché su questo c’è sicuramente una collaborazione – che dev’essere pratica, non solo un dialogo per poi continuare come prima. Deve esserci davvero un cammino che, nel rispetto dei reciproci convincimenti, può davvero portare a collaborare attivamente e nei fatti, e non soltanto in dichiarazioni di buona volontà – importantissime, ma che devono essere un punto di partenza e non il punto di arrivo e di arresto del dialogo interreligioso.

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