La produzione dell’acciaio in Italia – leader mondiale nel settore – va tutelata da penalizzazioni irragionevoli, magari a beneficio di altri Paesi europei

Intervento in Aula in dichiarazione di voto sulle mozioni riguardanti lo stabilimento Acciai Speciali Terni-AST

Signora Presidente,

la produzione dell’acciaio in Italia non è un tema che finisce sulle prime pagine dei giornali, se non quando si verificano fatti incresciosi come quelli della scorsa settimana, con gli scontri e con gli operai che hanno incontrato un eccesso di zelo da parte della Polizia o quando, come sta accadendo in queste ore, vengono bloccate incresciosamente autostrade e mezzi di comunicazione. In altre circostanze, come dicevo, la produzione dell’acciaio non fa i titoli, non è oggetto di dibattiti: non c’è competizione, da questo punto di vista, con temi come la riforma della legge elettorale o con l’ultimo proclama del giorno.

Invece, la produzione dell’acciaio è importantissima nel nostro Paese. L’Italia è tra i leader mondiali in questo settore, con tre grandi unità produttive: a Terni, a Taranto (l’ILVA) e a Piombino. Si tratta di realtà molto importanti, di lunga tradizione, che subiscono, insieme all’intera produzione di acciaio europea, la concorrenza anche in questo caso dell’Asia, oltre che – c’è il rischio che emergano – di ulteriori produttori.

Ebbene, in un settore così importante, strategico, occorre fare di tutto, perché coloro che riescono a sopravvivere – alla difficile concorrenza, alla crisi che, bene o male, investe, sia pure in misura diversa, tutto il Pianeta – quindi a questi ostacoli difficilissimi, creati evidentemente dal mercato, non si trovino a essere vittime di un’interpretazione troppo restrittiva delle regolamentazioni contro la concorrenza o che, in particolare gli impianti italiani, non vengano penalizzati a beneficio di altri impianti – ad esempio presenti in Germania – della stessa grande azienda. Pertanto, è importantissimo che il Governo si adoperi, come gli chiediamo nella nostra mozione, per facilitare un accordo tra l’azienda e le parti sindacali, ma anche che il Governo si adoperi presso l’Unione europea – anche se questo, ripeto, non fa la prima pagina (ma fa posti di lavoro) – perché si cambi l’approccio.

Non si può pensare di considerare un eccesso di posizione dominante il fatto che un’azienda sia leader in Europa, quando nel mondo globale la concorrenza è di colossi molto più grandi che usufruiscono – per esempio, in Cina – di ogni tipo di agevolazione da parte dello Stato, in Paesi dove i problemi giusti che noi ci facciamo sull’ambiente sono del tutto ignorati (evidentemente l’abuso di posizione dominante in Cina non è neppure una parola conosciuta). Bisogna fare in modo che l’Europa allarghi il suo orizzonte e non punisca chi cerca di avere dimensioni tali da poter competere al livello globale.

Credo sia importante avere fatto questa discussione. A volte le mozioni danno un po’ la sensazione di avere riempito una mattinata – in questo caso, un pomeriggio – ma, in questo caso, è importante dare al Governo un forte sostegno e un forte stimolo ad agire, sia per la parte naturalmente che riguarda l’Italia sia per la parte che riguarda un’azione internazionale. Questa è una questione vitale per il nostro Paese.

È uno dei pochi settori industriali dove ancora siamo una realtà significativa e importante: dobbiamo avere una forte posizione. Il Governo non deve considerarla una questione secondaria. Non è un’ordinaria vertenza sindacale; non è una crisi qualsiasi, benché tutte le crisi siano degne di grande attenzione; e deve trovare una soluzione che non sia tampone o di compromesso, magari per tenere calmo qualcuno oggi e la settimana prossima, ma sia una soluzione strategica.

La produzione dell’acciaio in Italia non può essere trattata come un fatto secondario: deve restare in Italia, deve progredire per essere competitiva e deve anche essere dato modo a questo settore di sopravvivere senza subire penalizzazioni irragionevoli che, magari, vanno a beneficio di altri Paesi europei che fanno forse meno proclami ma che riescono a essere più influenti sulle decisioni dell’Unione.

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