“Nei primi di vent’anni di introduzione, i PACS costerebbero al sistema previdenziale, per via della reversibilità della pensione, oltre 83 miliardi di euro, pari a 3500 euro per ogni lavoratore. Solo nell’ultimo di questi anni, il costo totale sarebbe di quasi 8 miliardi in totale, cioè 340 euro per ogni Contribuente. Ma è una stima prudenziale: i numeri potrebbero essere assai superiori, anche il doppio.
La reversibilità della pensione è uno dei punti principali di tutte le proposte per l’introduzione dei PACS nel nostro ordinamento. A differenza di quanto avviene con il matrimonio, i diritti derivanti dalla stipulazione di un PACS, a giudicare dai ddl presentati, non si accompagnerebbero a doveri vincolanti. Di qui lo spazio per abusi e finzioni giuridiche: coloro che sono titolari di pensione e sono o vedovi o non coniugati potrebbero senza particolare problemi stipulare un PACS con persone molto più giovani, di qualunque sesso, a cui lasciare la reversibilità a costo zero per loro ma altissimo per la collettività. Il giovane beneficiato potrebbe essere un amico dei figli o dei nipoti, o una colf o badante che magari uno non sposa per non defraudare i figli di eredità o non essere costretto a mantenerla in caso di separazione.
Il mio studio si basa su un’ipotesi estremamente prudenziale: che solo un quinto di coloro che senza i PACS morirebbero senza lasciare la reversibilità a nessuno approfitti dei PACS. E non tiene conto dei costi indiretti: la caccia alla reversibilità rischierebbe di diventare per molti un’attività alternativa a una reale attività produttiva. A pagare sarebbero i contribuenti che non approfittano di questa opportunità.
Quello dei costi è un punto che non ha toccato nessuno, ma non può certo essere ignorato ora che il Governo afferma di voler fare sul serio”.