Margaret Thatcher, Golda Meir, Benazir Bhutto, Indira Ghandi, Angela Merkel o Aung San Suu Kyi non sono figlie, né frutto, delle quote rosa

Bisogna poter votare la capacità, le idee e l’affidabilità – e non il sesso – del candidato. Si vuol avere due madri o due padri per un bambino, ma non due donne o due uomini – se competenti – nel consiglio comunale?

Intervento in Aula nella discussione sulla parità della rappresentanza di genere nei Consigli regionali

Signor Presidente,

sono sorpreso di essere stato l’unico a presentare degli emendamenti e vorrei premettere l’apprezzamento per il lavoro che ha svolto la Commissione, migliorando il testo rispetto a quello iniziale.

Potrei spiegare i miei emendamenti con una esigenza personale ma che, evidentemente, personale non è. Facendo i calcoli, ho concluso di aver votato più per donne che per uomini -sia da elettore, sia da parlamentare quando ci sono stato delle votazioni interne. Ma non ho votato per delle donne perché erano donne, e gli uomini che ho votato non li ho votati perché erano uomini, ma perché ritenevo, con la fallibilità che ognuno può avere, che fossero le persone più adatte a ricoprire quegli incarichi o che maggiormente rispecchiassero il mio modo di vedere politico o su problemi specifici.

Io vorrei poter continuare a votare in questo modo e, quando mi trovo davanti alla possibilità di esprimere delle preferenze o di votare per qualcuno, di poter votare sulla base della capacità, delle idee e della affidabilità, e non sulla base del fatto che sia uomo o che sia donna.

E non sono il solo a pensarla così perché, in assenza di qualunque tipo di norma a tutela della rappresentanza femminile, nella mia Provincia, che è la seconda per numero di abitanti di tutto il Paese, il mio Partito ha visto per due elezioni consecutive ai primi due posti due donne, che si suppone siano le più gradite dall’elettorato del mio Partito.

Ora, sembra che si voglia dimenticare un referendum che, neanche tanto tempo fa, a furor di popolo, bocciò la preferenza multipla. Tutti all’epoca ritennero che quella fosse una bocciatura delle preferenze in quanto tali ma poi, naturalmente, lo si è dimenticato. Adesso, più o meno per le stesse ragioni per cui venti anni fa si abolirono le preferenze, si vogliono reintrodurre. Anzi, già sono state reintrodotte nella legge elettorale nazionale, e già ci sono in altre leggi.

Ebbene, se si deciderà di introdurre la preferenza multipla, io vorrei poter fare come gli elettori del mio Partito hanno fatto, votando per due donne. Invece no, non posso votare due donne, ma devo votare almeno un uomo. E può anche succedere, cari Colleghi, che le due persone più adatte (o perlomeno secondo l’opinione di un singolo elettore) siano anche degli uomini. Può anche succedere questo. In sostanza, ritengo che la meritocrazia, di cui si parla tantissimo e che si pratica poco, dovrebbe essere incoraggiata piuttosto che mortificata da condizioni, limiti e costrizioni. È come se dicessimo che l’elettore deve, sì, scegliere da solo, ma è meglio che gli indichiamo noi come deve scegliere. Quindi, è meglio che non scelga.

Quanto al numero dei candidati che devono essere nelle liste, io ritengo sia interesse di tutte le liste (e Forza Italia lo ha fatto) avere una rappresentanza adeguata sia di uomini che di donne. Ma sarebbe, soprattutto, importante avere delle persone competenti.

Neanche si può imporre un obbligo ad una lista. Ricordiamo, infatti, che ci sono tante leggi elettorali a livello regionale. Supponiamo che ci sia la lista delle vittime di infortuni sul lavoro, che sappiamo essere in stragrande maggioranza uomini (per una serie di ragioni facilmente intuibili). Ebbene, quella lista dovrebbe comprendere, grosso modo, il 50 per cento di donne. Supponiamo di fare una lista delle vittime di violenza sessuale, che – ahimè – sono in stragrande maggioranza donne (anzi, il guaio è che ve ne siano in generale). Ebbene, tale lista dovrebbe avere almeno il 50 per cento di uomini.

Francamente diventa difficile spiegarlo, così come diventa difficile spiegare perché, nello stesso momento in cui una parte importante di questo Senato vuole che non sia più dirimente, per adottare un bambino, essere un uomo o una donna – per cui un bambino può avere due padri o due madri (questo dice un testo di cui si sta discutendo e di cui si parla molto) – se invece si esprimono due preferenze, esse devono essere per un uomo e per una donna.

Allora, per il matrimonio va benissimo che a sposarsi siano due uomini o due donne, così come per essere genitori di un bambino va benissimo che la coppia sia composta da due uomini o due donne. Ma, per il voto di preferenza, queste devono essere un uomo e una donna e – per carità – non facciamo certe porcherie fra uomini o fra donne! Francamente, la trovo veramente una cosa ridicola.

Mi chiedo anche un’altra cosa: ma siamo sicuri che essere donne sia uno svantaggio, se si vuole entrare in politica e aspirare a certe cariche? Siamo sicuri che la figlia, la moglie o la sorella di una famiglia potente e ricca, che hanno potuto studiare, siano più svantaggiate del figlio dell’operaio? Qui favoriremo solo donne – come per altro spero anche uomini – capaci, ma la realtà ci dice che non sempre chi arriva ai massimi livelli è proprio il fior fiore della nostra società. Ci sarà un aiutino per coloro che magari non ne avrebbero bisogno, mentre chi davvero parte da situazioni difficili si sentirà dire: «Eh, bravo: nonostante tu sia partito da umili origini, ce l’hai fatta, però lì dovevamo mettere una donna», per cui ci saranno la moglie o la figlia di qualcuno o magari – e spero che questa sia la regola – una che è brava di suo.

Margaret Thatcher, Golda Meir, Benazir Bhutto, Indira Ghandi, Angela Merkel o Aung San Suu Kyi – tutte figure di grande prestigio, pur senza volerne fare una valutazione politica – non sono figlie né frutto delle quote rosa; né lo sono, se posso permettermi di nominare alcune presenti, per non sembrare esterofilo, Anna Finocchiaro o Annamaria Bernini. Credo che le donne presenti siano qui perché hanno dimostrato certe capacità e hanno saputo dimostrarsi affidabili verso l’insieme dei loro elettori e del loro Partito, che hanno deciso di collocarle in certe posizioni.

Poiché vorrei che la cosa continuasse in questo modo, ho presentato alcuni emendamenti. Nell’illustrarne puntualmente due, mi permetto di fare notare che il punto 2) dell’articolo 1 del testo che stiamo esaminando è un po’ ambiguo, perché dice due cose diverse come se, però, una causasse l’altra. Dice, infatti, che bisogna disporre l’alternanza tra candidati di sesso diverso dove vi siano le liste bloccate, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale. Sono due cose diverse. Se si vuole dire quello che ritengo si intenda dire qua, a mio avviso bisognerebbe dire che ci vuole l’alternanza e che non si deve eccedere il 60 per cento del totale; altrimenti, scritto così, non è detto che questa alternanza raggiunga quel risultato, ma vi è – anzi – il rischio che ci sia un irrigidimento sul 50 per cento assoluto, per cui veramente potrebbe accadere quello ho detto prima, ossia che ci saranno quello o quella – può succedere all’uno o all’altro – che si sentano dire: “Sarebbe toccato a te, però, sai com’è, sei del sesso sbagliato”.

Infine, si parla tanto di primarie: molti sono a favore, alcuni sono contrari, ma il Partito Democratico in particolare le pratica. Nei collegi uninominali, dove le primarie sarebbero un modo abbastanza normale e diffuso anche in altri Paesi per scegliere il candidato, non capisco come si faccia a dire ai candidati di una città: «Scegliete chi volete ma, siccome in quell’altra città hanno scelto degli uomini, voi dovete scegliere delle donne» o viceversa. Com’è possibile? Allora facciamo primarie in cui si vota come si vuole, poi, alla luce del totale, se ci sono troppe donne, quella che ha vinto in realtà ha perso perché era donna o, se ci sono troppi uomini, quello che ha vinto ha perso perché era uomo, per cui è tutta una presa in giro. Vogliamo prendere in esame la questione e, lo ribadisco, vogliamo provare a fare quello che già succede? Trovo curioso tutto ciò.

La senatrice Amati, che apprezzo sempre nei suoi interventi, ha ricordato poc’anzi quanto accadde con le prime elezioni del 1948, quando tante donne dovevano chiedere il permesso al marito, al padre o al fratello per uscire di casa: ebbene, nell’Assemblea Costituente entrarono ventuno donne che svolsero un’opera importante, e all’epoca non vi era alcuna quota rosa; oggi, quando ormai le donne hanno ricoperto, di volta in volta, tutte le più alte cariche del nostro Paese nell’ambito civile, dell’industria o delle istituzioni – giusto con l’eccezione delle prime due cariche dello Stato, ma credo che cambierà anche questo – c’è bisogno delle quote? Mi sembra davvero una norma anacronistica.

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