“Sì” alla libertà di Stampa, “no” a fare strame della verità e distruggere le persone – magari facendone un business

Non siamo nella condizione di poter liberalizzare la diffamazione, col rischio di fare un pessimo giornalismo

Intervento in Aula nella discussione sulla diffamazione a mezzo Stampa

Signora Presidente, Onorevoli colleghi,

la libertà di Stampa è sicuramente un patrimonio fondamentale per un Paese civile, a maggior ragione per un Paese democratico. È giusto occuparsi del problema delle condanne al carcere di giornalisti per diffamazione. È giusto intervenire su questo aspetto e trovare delle alternative a questo tipo di condanne – che tra l’altro, pur essendo pochissime, sono la principale causa della classificazione dell’Italia in posizioni non particolarmente esaltanti nell’ambito della libertà di Stampa.

Tuttavia, la libertà di Stampa si esercita, come ogni altra libertà civile, nell’ambito della certezza del diritto. E la certezza del diritto deve essere una delle preoccupazioni; pertanto, va benissimo ridurre le pene e trovare delle alternative.

Tuttavia, bisognerebbe sapere cosa è la diffamazione. Su questo non c’è un intervento. Siamo d’accordo che, parlando a livello accademico, tra i giuristi che abbiamo sentito e che sentiremo le idee sono chiare; ma, poi, vediamo l’applicazione nella pratica, ciò che avviene nei tribunali, e riscontriamo delle abnormità. Vediamo che valutazioni personali – anche garbate – presentate come opinioni vengono punite, così come, a volte, vediamo che l’attribuzione di fatti specifici, anche gravi, viene ritenuta un diritto di critica e, magari, chi ha sostenuto l’azione di risarcimento viene condannato a pagare decine di migliaia di euro per aver osato tutelare la propria onorabilità. Infatti, una delle richieste che avanzo negli emendamenti è quella di evitare che la diffamazione diventi un settore produttivo. Faccio un esempio: se, pubblicando notizie di fatto diffamatorie su un giornale o su un sito Internet, riesco a vendere molte copie o molte inserzioni pubblicitarie guadagnando 100.000 euro e questo mi costa 10.000 euro di multa, svolgo un’attività proficua, molto più remunerativa di tante altre che francamente riterrei più oneste che quella di distruggere la reputazione della gente. Per questo ho presentato un emendamento che prevede di commisurare la quantità del danno, introdotto nell’articolo 11-bis, dove si dice giustamente che: «Una determinazione del danno derivante da diffamazione (…) il giudice tiene conto della diffusione quantitativa e della rilevanza nazionale o locale del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato, della gravità dell’offesa».

Faccio due esempi, senza fare nomi, per buone ragioni.

Un giornalista, anni fa, è stato condannato a pagare 250.000 euro di risarcimento – oltre a diversi mesi di reclusione che, per fortuna, essendo incensurato, non ha dovuto scontare – per aver diffuso un comunicato Stampa neppure pubblicato, che è girato solo nelle redazioni di alcuni giornali di una piccola area d’Italia e nel quale si definiva non particolarmente solerte – queste erano le parole – una Procura della Repubblica nel trattare una certa denuncia che, infatti, andò in prescrizione. Le parole «non particolarmente solerte» gli sono costate 250.000 euro di multa. Non si sa come si sarebbe potuta definire, ma sta di fatto che andò in prescrizione senza che si abbia avuto notizia di indagini. In un altro caso, anche abbastanza noto, di pochi anni fa, un’alta carica dello Stato – che si era vista attribuire collaborazione con mafiosi nella sua attività professionale precedente al suo impegno politico – ha ottenuto sì la condanna di chi aveva scritto, ma ben 17.000 euro di risarcimento. Ti danno pubblicamente del mafioso e ricevi 17.000 euro di risarcimento. In pratica, forse si è pagato l’avvocato. Che questo possa essere ritenuto un risarcimento anche solo del danno familiare e a livello di relazioni personali mi sembra davvero ridicolo. Si deve avere maggior chiarezza di cosa è e cosa non è la diffamazione.

Dobbiamo difendere in ogni modo la libertà del giornalista – ma anche del non giornalista – di dire le proprie opinioni; anche in modo forte, polemico e aggressivo. Non possiamo consentire, però, che si faccia strame della verità, che si distruggano delle persone usando la diffamazione – magari facendone un business politico; costruendo cioè consenso commerciale o mediatico sulla base di queste cose per cui si allestisce un sito, si fanno delle diffamazioni sistematiche e poi, se capita, si paga la multa – altrimenti, il più delle volte, ti diranno che è nell’ambito del diritto di critica.

Per quanto riguarda l’attribuzione di fatti specifici falsi, potremmo raccogliere decine di aneddoti tra le persone che hanno frequentato questa Aula e alle quali sono stati attribuiti fatti specifici – che costituiscono reato – che non solo non hanno ottenuto nessun risarcimento, ma che sono state anche condannate a pagare le spese della controparte. Parliamo di decine di migliaia di euro, che è un forte deterrente a tutelare i propri diritti.

Mi soffermo sull’articolo 13 del testo proposto dalla Commissione, dove si dice che: «Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della Stampa e con la radiotelevisione, si applica la pena della multa fino a 10.000 euro». Poi si aggiunge che: «Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena della multa da 10.000 euro a 50.000 euro». Ma che cosa vuol dire «consapevolezza della sua falsità»? Vuol dire che, immaginandomi un giornalista senza scrupoli o, comunque, in possesso di un sito non registrato come testata giornalistica ma che, magari, raccoglie pubblicità – al quale comunque la disciplina di questa legge non si applicherebbe, ma lasciamo stare questo caso estremo – potrei pubblicare a casaccio tutte le voci che mi arrivano (tizio è pedofilo, quell’altro è mafioso, quell’altro ancora picchia i bambini, quell’altro ruba ai vicini e così via). Non sono sicuro che queste notizie siano vere, ma neanche che siano false. Naturalmente, le accuse le faccio nei confronti di persone note; incasso un sacco di pubblicità o addirittura vendo abbonamenti e poi, proprio male che vada, pago 10.000 euro – salvo che non si applichi il comma 4 dell’articolo 13 sempre del testo proposto dalla Commissione, in cui si dice che: «L’autore dell’offesa non è punibile quando abbia chiesto, a norma dell’ottavo comma dell’articolo 8, la pubblicazione della smentita o della rettifica richiesta dalla parte offesa». Francamente, lo trovo sconcertante.

Negli Stati Uniti, ad esempio, i personaggi pubblici – non certo quelli privati, per cui funziona esattamente al contrario – non possono sostanzialmente avviare un’azione di risarcimento per diffamazione nei loro confronti perché la critica nei confronti di un personaggio pubblico, in particolare di un politico, deve essere libera. In altre parole, un Adolf Hitler redivivo non potrebbe dire: «Non potete parlare male di me» e quindi è giusto il fatto di poter dire di lui qualunque cosa. Il problema è che non puoi saperlo prima, per cui devi poter dire di lui qualunque cosa. C’è però un piccolo fatto: negli Stati Uniti, il Direttore di un mezzo di informazione che abbia diffuso una notizia falsa, specie a danno di una persona famosa, si dimette; e, se non si dimette, viene buttato fuori dal suo giornale; e, comunque, una volta dimesso, non va certamente a dirigere un’altra testata guadagnando qualche altra decina di milioni di euro. Non lavora più in quell’ambito e deve sperare di trovare un lavoro manuale e umile a cinque dollari all’ora. Questa è la realtà.

Da noi non funziona così e depenalizziamo il reato di diffamazione. Pregherei di fare attenzione a questo, anche se vedo che la relatrice è impegnata su altri fronti. Vi prego di prestare attenzione a questo, lo ripeto, perché non siamo nella condizione di poter liberalizzare la diffamazione o prevedere una diffamazione low cost, che ha però un alto rendimento dal punto di vista dei frutti che se ne traggono, col rischio di fare un pessimo giornalismo che dovrebbe essere il più grande nemico dei buoni e coscienziosi giornalisti – che, sono convinto, siano la maggioranza della categoria. È chiaro però che, se diventa più redditizio fare il diffamatore di professione, scoraggiamo proprio costoro.

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