Si nega la possibilità di votare molti emendamenti utili, per imporre un provvedimento che rischia di rovinare famiglie e Comuni

Intervento in Aula sul decreto-legge di risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse

Se una qualche utilità può avere questa «commemorazione» degli emendamenti che non potranno essere votati – perché di ciò si tratta – credo consista nel fatto che dal complesso degli stessi si può ricavare un elemento preponderante: quello di aver cercato, sia pure in settori molti diversi dell’Assemblea, di operare riforme di sostanza, riforme di struttura, tentando di modificare un decreto-legge redatto in modo affrettato ed esaminato con estrema precipitazione.

Sono stati, infatti, presentati emendamenti molto interessanti che, purtroppo, non potranno essere votati. Alcuni sono stati appena illustrati dall’onorevole Guerra, esponente del Gruppo di Rifondazione Comunista; io vorrei ricordarne altri, come quelli dei Riformatori, diretti a modificare in senso moderno gli ammortizzatori sociali, o quelli del Gruppo di alleanza Nazionale, tendenti a decurtare le spese delle Ferrovie dello Stato (non si sa, infatti, se alcuni di quegli investimenti saranno utili, mentre è certo che faranno comodo a determinati grandi gruppi imprenditoriali). Tali proposte, parallelamente, non comportavano l’aumento di tasse e imposte.

Il problema della manovra al nostro esame è sempre lo stesso: come è già successo più volte nel corso degli anni passati, invece di sottoporre a revisione il sistema della Pubblica Amministrazione – che, a nostro avviso, deve essere profondamente riformato – si è mantenuta l’inefficienza della struttura, privando la stessa di alcuni finanziamenti. Il risultato è che questa struttura inefficiente diventa sempre più tale. Faccio un esempio per tutti: quello della Sanità, un settore sempre più difficile da amministrare e che fornisce servizi sempre più scadenti.

Vorrei ora illustrare brevemente alcuni emendamenti presentati dal Gruppo dei Federalisti e Liberal-democratici, di cui faccio parte. Inizio da un emendamento tendente a conseguire non una riduzione dei risparmi, bensì un aumento degli stessi, con la previsione di un taglio di 1.370 miliardi alle spese correnti dell’amministrazione della Difesa. Senza incidere sugli investimenti e sull’ammodernamento di certi reparti (che sono senz’altro necessari), ma limitandosi a porre mano alle spese correnti (che chiunque sia stato in una caserma sa bene che possono essere ridotte), si sarebbe ottenuto un risparmio. E il Ministro della Difesa, che è un Generale, dovrebbe sapere in quali settori si possono realizzare economie. Con altri emendamenti cercavamo di evitare l’ennesimo salasso a carico dei Comuni. A questi, infatti, verranno sottratti altri 600 miliardi; ogni anno, quando non si sa dove effettuare tagli, si riducono i fondi destinati ai Comuni.

Data l’ora e considerato che l’uditorio si è molto assottigliato, mi soffermo su un ultimo emendamento. Con il provvedimento al nostro esame si prevede che la detrazione ai fini IRPEF degli oneri relativi ai mutui venga ridotta dal 27 al 22 per cento. Si sarebbe dovuta evitare una tale misura, perché il mutuo non rappresenta una spesa voluttuaria né un lusso. Le famiglie, quando hanno contratto il debito, hanno fatto conto di poter detrarre dal reddito la somma pagata per interesse sui mutui. Fino a poco tempo fa, tale somma poteva essere detratta dall’imponibile, con conseguente riduzione di aliquota. Poi si è prevista una detrazione pari solo al 27 per cento che ora viene portata al 22 per cento – con un danno per le famiglie, che avevano fatto i conti basandosi su una percentuale di detrazione diversa. Questa misura, insieme con altre operazioni, renderà difficile per molte famiglie far quadrare il bilancio. Sempre per quanto attiene ai mutui, vorrei ricordare che molte aziende e molti privati, rispondendo a un invito del Governatore della Banca d’Italia di allora, Dottor Ciampi, si erano indebitati in valuta estera – specialmente in ECU. Si diceva, infatti, che il prezzo del denaro in Italia era troppo alto e si aggiungeva un invito: “Indebitatevi all’estero, tanto garantiamo noi la stabilità della lira rispetto alle valute estere!” Sappiamo bene come sia finita la faccenda: nel 1992 si è registrata una valutazione grottescamente mascherata (promossa dall’allora Presidente del Consiglio Amato), per poi continuare nella stessa direzione. Se pensiamo che alcune famiglie avevano basato i propri conti sull’ECU a mille e 400 lire e sulla detraibilità – nella misura massima – degli interessi, dobbiamo purtroppo constatare che oggi esse si trovano non solo con l’ECU ben superiore alle 2 mila lire, ma anche con una detraibilità del 22 per cento. Questo non è sicuramente un buon segnale. Inoltre, non è la maniera opportuna per risanare le finanze dello Stato, per le quali sarebbero necessarie ben altre misure – vale a dire, interventi strutturali. La norma in questione, in compenso, rischia di rovinare famiglie e imprese.

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