Totale discrezionalità del Governo nell’assegnazione, per soli tre anni, dei già ridotti fondi all’editoria

Piccole testate locali a rischio chiusura per tutelare affari miliardari: inizia l’addio al pluralismo dell’informazione

Intervento in Aula nella discussione del disegno di legge riguardante l’editoria

Signor Presidente, il provvedimento in esame sull’editoria è l’ultimo di una serie molto numerosa di provvedimenti che sono stati adottati nel corso degli anni. Sarebbe interessante una cronologia storica dei provvedimenti assunti in questo settore nel corso degli anni. Potremmo delinearli a grande linee in questo modo.

Per parecchi anni, i provvedimenti sulla Stampa e l’editoria sono stati strutturati in modo tale che tutti i periodici (compresi i grandi quotidiani, che spesso sono delle grandi aziende e, specialmente negli anni passati, con un notevole e molto salutare andamento economico) ricevessero dallo Stato importanti sovvenzioni, dell’ordine di parecchi milioni di euro ciascuno, sulla base di parametri quali la carta usata, il numero di copie diffuse e così via.

Nel corso degli anni, l’attenzione si è accentrata soprattutto sulla Stampa di Partito, che godeva di particolari agevolazioni. Tuttavia, parlando dei giornali di Partito, ci si dimenticava che c’erano ben altre corazzate che ricevevano finanziamenti anche maggiori, certamente a fronte di tirature di gran lunga maggiori ma con meno necessità. Al di là dell’impopolarità emersa nel corso degli anni, i finanziamenti alla Stampa di Partito avevano una loro ragione particolare nel dare attuazione al riconoscimento del ruolo dei Partiti politici nella Costituzione e a beneficio del pluralismo dell’informazione.

Nel corso degli anni, queste agevolazioni sono state prima ridotte e, poi, riservate solo a determinate categorie di giornali e periodici. Sarà un caso ma, proprio quando gli aiuti, le sovvenzioni e i sussidi sono stati tolti alla grande Stampa e limitati a quella particolarmente tutelata (cioè, in via sempre più parziale e marginale, alla Stampa di Partito, a quella gestita da cooperative di giornalisti oppure a quei tipi di assetti societari che vengono particolarmente tutelati dalla legge ancora oggi), è nata la grande campagna anticasta sugli odiosi privilegi dei parlamentari.

È un caso, sicuramente; ma, proprio quando i grandi quotidiani non hanno più preso delle sovvenzioni – che, peraltro, erano assai difficili da giustificare – c’è stata la grande scoperta e la grande battaglia anticasta. Può darsi che solo per una coincidenza essa sia emersa solo in quel periodo. Di certo, non era suscitata in sé dalle famose cifre dei costi della politica, che erano già stati ampiamente ridotti; perché, quando essi erano molto più alti, la grande Stampa non aveva nulla da dire al riguardo. Ha avuto da dire qualcosa quando questi benefici sono stati ampiamente ridotti e, sempre per una curiosa combinazione temporale, sono stati ridotti i veri privilegi per i grandi giornali.

Si passò, così, a una situazione nella quale solo particolari assetti societari fruivano di questi aiuti. Data la formulazione della legge, ci sono state alcune testate (tra cui alcune di quelle particolarmente attive, anche oggi, nel denunciare i presunti privilegi dei parlamentari – anche se, in realtà, dovremmo parlare di «prerogative», che sono assai inferiori a quelli che ci sono negli altri grandi Paesi europei e non solo) che sono riuscite a darsi delle tutele attraverso la pretestuosa assunzione della forma di testata giornalistica di Partito, magari di un Partito nato in laboratorio con la firma di un senatore e di un deputato del Gruppo Misto, e che sono così riuscite ancora a ottenere dei notevoli vantaggi, sia pur decrescenti, da parte delle casse dello Stato.

Un provvedimento molto importante è stato approvato nella scorsa legislatura, in cui si è cercato ulteriormente di delineare i profili che devono caratterizzare i beneficiari di questi fondi che, nel frattempo, sono stati di molto ridotti.

Questi fondi, nel loro insieme, sono veramente un granello nella grande massa del bilancio dello Stato: ne parleremo ancora nel corso della discussione del provvedimento. Si sono, dunque, prese delle misure particolarmente efficaci, a mio parere, per evitare che determinati periodici o editori prendessero delle forme pretestuosamente simili a quelle che potrebbero davvero meritare un sussidio da parte dello Stato. Tale misura è stata particolarmente efficace e severa, giacché non si stabilivano le caratteristiche che le testate devono avere per andare a vedere solo poi, a piè di lista, quanto questo costasse per individuare la somma stanziata, ma si è fatto l’opposto; ovvero, si è individuata una somma assai ridotta rispetto agli anni precedenti alla quale avrebbero potuto accedere solo determinate categorie e testate giornalistiche. Se le testate dovessero essere più numerose di quanto ragionevolmente previsto, le sovvenzioni e i sussidi sarebbero stati proporzionalmente ridotti. Quindi si tratta di un atteggiamento particolarmente severo e prudenziale da parte del legislatore.

Il disegno di legge al nostro esame interviene, dunque, in una situazione già molto difficile. Tutti coloro che a oggi percepiscono qualcosa, percepiscono assai meno di quello che percepivano prima, e questo in un periodo decisamente molto difficile per tutte le testate giornalistiche a cominciare dalle più grandi, dalle più antiche e prestigiose. Sappiamo bene che ciò deriva da una serie di fattori – come la crisi economica – che fa sì che molti italiani debbano tagliare le spese familiari e individuino come uno dei bersagli dei tagli proprio l’acquisto dei quotidiani e dei periodici. Per un altro è la concorrenza di Internet, che offre in modo generalmente gratuito una enorme massa di notizie, certo non sempre scelte bene, addirittura per nulla, spesso non molto attendibili e con grande difficoltà a distinguere l’attendibile dall’inattendibile. Ma sta di fatto che la grande massa di informazioni su Internet c’è, e questo ha determinato in tutto il mondo, anche nei Paesi dove non c’è particolare crisi economica, una crisi nel settore della informazione delle testate giornalistiche su qualunque supporto e, in particolare, su quello cartaceo. Pertanto, tutte le riduzioni che vengono fatte oggi intervengono a seguito di altre riduzioni e a seguito di forti sacrifici, richiesti a seguito di grande difficoltà in cui si sono messe le aziende.

Questo provvedimento, a mio parere, ha alcuni difetti che abbiamo poi cercato di individuare, proponendo emendamenti che cercano di rimediare, appunto, alle criticità riscontrabili nel disegno di legge.

In primo luogo, non ci sono garanzie. C’è una totale discrezionalità affidata al Governo per la destinazione di quei fondi, assai limitati e ridotti rispetto al passato, ma non c’è nessuna certezza di quanto di questi fondi andrà davvero alla piccola editoria, all’informazione locale e quanto, invece, ad altri soggetti. Non c’è neanche una certezza per quanto riguarda il tipo di mezzo di comunicazione verso il quale saranno indirizzati questi fondi; il tutto non sulla base di dati oggettivi, ma sulla base di una discrezionalità davvero molto ampia affidata al Governo.

Intanto, a noi, ovviamente, come forza di Opposizione, non può piacere dare una grande discrezionalità al Governo che non appoggiamo e che avversiamo. Oggettivamente, però, la ragione d’essere di questi sussidi è di garantire e di sostenere il pluralismo dell’informazione alla luce della necessità di salvaguardare le minoranze, che possono essere di tanti tipi. La minoranza tipica salvaguardata a livello di Costituzione è quella linguistica, ma vi sono anche minoranze intellettuali, culturali, religiose, o anche semplicemente interessi di nicchia che possono essere, però, meritevoli di un certo sostegno. Nel testo approvato in Commissione non c’è garanzia che questi fondi vadano a questi soggetti, che dovrebbero essere meritevoli e che la legge ha sempre ritenuto meritevoli, un tempo con più fondi e oggi con meno fondi. Questo non va bene, perché pluralismo significa proprio tutelare, in base a regole precise, tutti quanti, indipendentemente dalle scelte discrezionali del Governo. Tra l’altro, chi ha la forza del Governo dalla propria parte il modo di far sentire la propria voce ce l’ha senza bisogno di sussidi, senza bisogno di finanziamenti e senza bisogno di attenzioni particolari. Chi, invece, non ha questa possibilità deve essere tutelato. E che tutto sia dato in mano al Governo, francamente, è un controsenso.

C’è poi una situazione sulla quale io ho sollecitato l’attenzione della Commissione. Si parla di un regime di tre anni. E dopo questi tre anni non si capisce come si va a finire.

Teniamo presente che, per quanto siano state in parte sovvenzionate, si tratta pur sempre di aziende che oggi non possono certo (come, invece, succedeva fino a qualche tempo fa) reggersi più solo sul sussidio statale. E questo era sbagliato.

C’erano delle testate, francamente poco più che virtuali, che affermavano di vendere migliaia di copie con il cosiddetto strillonaggio (che i più giovani neanche sanno cosa sia), con copie dunque non quantificabili. E, sulla base di questo, ricevevano dei soldi, stampavano delle copie e ne distribuivano alcune in posti dove era facile distribuirle – cioè la Camera e il Senato – e in qualche modo sopravvivevano. Questo non si può più fare, che fosse buono o cattivo. Queste imprese hanno dovuto confrontarsi con il mercato. Ebbene, a queste imprese viene detto: non ti facciamo morire subito (anche se qualcuna morirà subito) ma, per tre anni, usiamo questo regime. Stiamo parlando di aziende e mi domando che piani può fare un’impresa non sapendo cosa succederà il quarto anno. Cosa può programmare? Stiamo parlando di posti di lavoro, di persone, di giornalisti, di personale non giornalistico che lavora per queste testate, per queste imprese, e pensare che il poco che si dà lo si eroga in modo che è praticamente impossibile, a oggi, determinare quanto percepirà anche per chi, fino ad oggi, ha preso una cifra sulla base di determinati parametri. Comunque si sa già che, tra quattro anni, si va nel terreno di nessuno. Tutto ciò è veramente problematico per queste imprese, per questi lavoratori e per questi cittadini italiani che lavorano in questo settore, proprio perché si spera che riescano in qualche modo anche a collocarsi sul mercato.

Tuttavia, in questa situazione di grave incertezza si dovrebbe sapere. Chi è troppo impegnato a fare le leggi pensando che più leggi si fanno e meglio è, dovrebbe sapere, che in realtà, meno leggi si fanno e meglio è per tutti coloro che operano sul mercato. Infatti, sono già sufficienti le oscillazioni del mercato e quelle dei gusti della platea cui sperabilmente sono destinati i prodotti giornalistici: è già più che sufficiente quello a creare incertezza. Se, poi, le norme cambiano spesso e, addirittura in questo caso, si dichiara che si predispone una norma che non si sa che fine farà tra tre anni, ciò causa più danni che una riduzione di fondi che, però, dia un barlume di certezza per il futuro. Che investimenti possono fare? Noi chiediamo a queste aziende di modernizzarsi, di diventare particolarmente attive su Internet e, a questo fine, diamo anche un piccolo aiuto – ma per poco tempo: dopo, non si sa. Come si possono fare degli investimenti in una situazione del genere? Si evita la bancarotta, per cui si spenderà sempre di meno; pertanto, accompagniamo alla morte tante piccole imprese. Per carità, la dura legge del mercato prevede anche che le imprese, così come nascono, a volte muoiono; tuttavia, se lo Stato deve intervenire, non lo deve fare per facilitare la morte delle imprese bensì per facilitarne la nascita o la sopravvivenza.

In Commissione, con una certa sorpresa, mi sono sentito dire che è fatto per tre anni di proposito perché, entro quel termine, le imprese si devono mettere sul mercato; quindi si rinuncia completamente all’intenzione di sostenere il pluralismo. Questo provvedimento è una sorta di eutanasia; c’è un prolungamento di un’agonia che fa sì che almeno, prima delle prossime elezioni e del voto sul referendum, non ci siano troppe testate che devono celebrare il proprio necrologio; ma forse dovremo avere delle prospettive un po’ diverse.

Sappiamo bene che, su certe cose, si è inesorabilmente per il mercato senza pietà ma, poi, quando si ha a che fare con entità miliardarie, improvvisamente si scopre che la garanzia è molto bella. Io credo che forse, semmai, dovremmo avere l’atteggiamento opposto, specialmente in settori dove l’informazione ha una funzione fondamentale, come dicevo prima: garantisce il pluralismo e dà una voce alle minoranze, di qualunque tipo si tratti. Poi, però, quando si tratta di affari da miliardi, c’è una grande tutela per quelli che c’erano prima e per quello che ha sempre avuto facilitazioni miliardarie dallo Stato: in quel caso diventiamo improvvisamente garantisti. Qui vedo una disparità che davvero non mi piace, non è conforme alla Costituzione e credo che non sia conforme all’interesse pubblico.

In Commissione, il gentile e preparatissimo relatore, senatore Cociancich, ha manifestato una certa disponibilità per l’Assemblea. In Commissione è andata così, spero che poi questa disponibilità si concretizzi in qualche modo e che non sia solo un atto di, sia pur gradita, cortesia.

Tanti che stanno seguendo i nostri lavori tengono in piedi imprese e iniziative culturali che danno vitalità locale. Ricordo che non ci sono solo le grandi città: l’Italia non è fatta soltanto da Roma, da Milano e, qualche volta, anche da Napoli e da Torino; ci sono anche le piccole realtà, con difficoltà di distribuzione, che però sono tenute vive grazie anche a piccole testate giornalistiche che conferiscono un’identità al territorio, costituiscono un punto di riferimento, danno informazioni e a volte svolgono un servizio a beneficio delle popolazioni.

Gli italiani sono tutti uguali, anche se ci sono certi provvedimenti di legge – e non voglio aprire una polemica – per i quali sembra che gli italiani degni siano solo quelli che vivono nelle grandi città, mentre quelli che vivono nelle piccole città o nei piccoli e piccolissimi Comuni siano italiani di serie B, con meno diritti e più tasse. Già sono in situazioni oggettivamente più difficili, perché anche solo per recarsi all’anagrafe o in un centro importante per determinate necessità, da sanitarie a burocratiche o di qualunque genere, sono già svantaggiati; vediamo di non massacrarli. Ebbene, queste piccole realtà spesso si riconoscono e sono tenute vive da piccole testate che sopravvivono grazie anche – diciamo la verità – agli aiuti di Stato. Il relatore saprà ben specificare l’entità di questi soldi, che sono veramente pochissimi; non è tagliando quelli che risolviamo alcun problema, mentre creiamo gravissimi problemi se obblighiamo alla chiusura delle realtà molto belle e importanti per il nostro tessuto sociale.

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